Premessa: per una volta, si cambia. Invece di essere voi che leggete e io che scrivo, è il contrario. Ho chiesto a un “commentatore”, cioè una persona che ha commentato uno dei miei post, di scrivere su questo blog. Ovviamente, era libero di scrivere su qualsiasi tema legato alla politica americana, a sua discrezione. Luca Caleffi ha accettato l’invito. L’articolo è sulla libertà di espressione in America. Luca e io non ci siamo mai incontrati se non virtualmente, su questo blog. Lo ringrazio per aver accettato l’invito. Questo è l’articolo che mi ha mandato. Buona lettura. EB

“Se qualcuno ogni tanto – sempre meno, a dire la verità – si fermasse ad ascoltare i racconti di nonni e bisnonni, ciò che richiama alla mente la parola America è il suo essere paese della libertà.

La situazione storica era diversa e ora il concetto di libertà è cambiato anche in relazione alla nostra attuale realtà, ma le recenti vicende, in fatto di libertà e della loro più pubblica espressione, i media, sembrano molto più complesse del semplice concetto di “fare ciò che si vuole”, come molti interpretano oggi la parola: in particolare mi hanno colpito ultimamente le dichiarazioni politiche che continuano a passare dai giornali e telegiornali americani fino in Italia, sicuramente con tutte le edulcorazioni del passaparola e delle traduzioni spesso non molto fedeli – normalmente mirate a far passare un certo messaggio di parte.

Per quanto sia fondamentalmente favorevole alla libertà di espressione, certi interventi ricordano terribilmente un certo modo di fare “informazione” che noi conosciamo bene e che personalmente ritengo eticamente iniqui. La critica, estremamente sterile e fuori luogo, alle misure prese per l’uragano Irene, soprattutto dopo quello che è successo a New Orleans, sarebbe da insegnare nelle scuole di politica e di libertà come esempio di pessimo esercizio del proprio diritto di espressione, ma è solo l’ultimo di una serie di interventi che, per quanto alcuni possano trovare condivisibili perché espressione dell’ideologia del proprio schieramento, sarebbero da considerare quanto meno infelici. Gli attacchi personali del Tea Party a Obama, che lo colpiscono sollevando dubbi su razza, religione e cittadinanza sono degni delle peggiori espressioni di razzismo, eppure non arrivano scuse o ripensamenti – o se lo fanno passano in secondo o terzo piano, quindi spesso inosservati.

Probabilmente la libertà – non quella dei nonni, che davvero non l’avevano – si salva, ma la libertà da sola serve davvero se ci si imbarbarisce così tanto da usarla in questo modo?”

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