“Un enorme abuso di potere, uno straordinario istinto di sopravvivenza, e il problema dell’identità: gli enormi sviluppi della scienza non hanno accesso all’identità, perché è al di sopra dell’aspetto fisico e dei genitali”. Così Pedro Almodóvar presenta La pelle che abito, che arriva nelle nostre sale dopo l’anteprima in concorso a Cannes e in attesa di sapere se correrà per la Spagna verso gli Oscar.

Protagonisti di questo thriller (fanta)sociale con venature horror sono il chirurgo plastico Antonio Banderas e la sua creatura Elena Anaya, ma la scena nell’incontro romano con la stampa è tutta per lui, Almodóvar: “Non mi sento onnipotente: un regista si prende l’autorità ma anche la responsabilità, se il film piace o se non piace”.

In effetti, la seconda che ha detto: La pelle che abito è esplicitamente (post)postmoderno, pure troppo, perché tratta tutto e tutti con estrema superficialità. Il chirurgo plastico Robert Ledgard (Banderas) vuole creare una pelle artificiale, quella che avrebbe potuto salvare la consorte arsa viva in un incidente stradale. Ci riuscirà 12 anni dopo: un tessuto epidermico resistente a tutto, e pressoché ignifugo. Problema, come testarlo? Gli serve una cavia umana, e la troverà nel ragazzo che ha abusato di sua figlia, Vicente (Jan Cornet), per cui ha in serbo una nuova, Vera (Anaya) identità…

Ma Banderas non è il solo a impugnare il bisturi: lo fa pure Almodóvar, artefice di una chirurgia estetizzante, più che estetica, che fedele è solo nel titolo: la pelle, non il corpo, l’involucro, non la sostanza. Se il film si prende in giro (“Mi chiamo Vera, Vera Cruz”: fa ridere?!?), tuttavia rischia di sfiancare lo spettatore, con una costruzione a specchi su cui vanamente si arrampica.

Dal feticismo alla tavolozza satura, dal rapporto madre-figlio all’ironia sul sesso, ritornano tutti i temi almodovariani, nonostante il genere di riferimento (thriller) sia pressoché inedito nella sua filmografia. Ma, pur autoriale, è una summa massimalista e poco lucida: come sassi nello stagno, i temi a lui cari sono macigni che vanno a fondo in una trama e un trattamento esili, perché la materia non tiene, è pura superficie, semplice forma disincarnata e disinteressata. Nonché pretenziosa, come post-postmoderno vuole.

Dunque, Almodóvar fa, anzi, strafà Almodóvar: ma chi lo regge più? La pelle che abito ha bisogno di un peeling, una bella esfoliazione.

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