La Procura di Palermo ha depositato questa mattina la richiesta di rinvio a giudizio del ministro per l’agricoltura Saverio Romano, imputato formalmente da oggi di concorso in associazione mafiosa. L’atto, firmato dal Pm Nino Di Matteo e dall’aggiunto Ignazio De Francisci, segue di quattro giorni la decisione del Gip di Palermo di rigettare l’istanza di archiviazione inizialmente presentata dalla Procura e di imporre ai magistrati inquirenti l’imputazione. Ora il Gup dovrà fissare entro due giorni l’udienza preliminare, ma il termine è solo ordinatorio. Il ministro ha detto di non volersi dimettere e l’Idv ha annunciato una mozione.

”E’ inconcepibile e inaccettabileche al governo ci sia una persona nei cui confronti sia stata disposta una richiesta di rinvio a giudizio per gravi fatti di mafia”, ha detto Antonio Di Pietro. “Noi dell’Idv insistiamo che nel caso specifico del ministro Romano, e più in generale, si stabilisca come codice etico che tutti coloro che sono rinviati a giudizio prima debbano farsi giudicare e solo dopo potranno assumere incarichi di governo”. “A nostro avviso – prosegue – per un’imputazione di questo genere non dovrebbero fare neanche gli amministratori di condominio. Faremo un’iniziativa parlamentare che abbia la forza di una mozione di sfiducia, in modo da stabilire una volta per tutte chi in Parlamento voglia rendersi complice di questa anomalia tutta italiana che dà la possibilità a uomini delle istituzioni di nascondersi dietro il loro ruolo, invece di rispondere ai giudici”.

I magistrati, nella richiesta di rinvio a giudizio, hanno sottolineato come Romano “nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale – scrivono i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio – Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell’acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella”.

Secondo il Pm, inoltre, il ministro avrebbe “messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione tendente all’acquisizione di poteri di influenza sull’operato di organismi politici e amministrativi”.

In particolare, nella richiesta il Pm Di Matteo fa cenno all’interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001. Romano si sarebbe inoltre adoperato per accreditare Miceli e “il suo referente mafioso Guttadauro quali interlocutori da ascoltare nella gestione degli equilibri politici all’interno e all’esterno del Cdu”. Infine il ministro, insieme all’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, avrebbe assecondato le richieste del capomafia Nino Mandalà inserendo Giuseppe Acanto nelle liste dei candidati del Biancofiore per le regionali del 2001, “nella consapevolezza di esaudire desideri di Mandalà e, più in generale, della famiglia mafiosa di Villabate”.

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