La crème de la crème della conservazione del mare si riunisce a Londra lo scorso aprile per fare il punto della situazione degli oceani, e in questi giorni il mondo ne apprende le conclusioni.

Davvero, niente di cui rallegrarci, malgrado il deprimente quadro emerso non sia certamente una sorpresa. Le acque degli oceani si riscaldano, la loro acidità aumenta, le zone prive di ossigeno si espandono. La velocità dei fenomeni è pari, e talvolta supera, quella prevista nel worst case scenario dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. Gli effetti cumulativi dei diversi impatti sono superiori a quelli anticipati, e intanto i tempi utili per intervenire con un minimo di speranza di efficacia si accorciano. Non basta: la capacità degli oceani di reagire vigorosamente al degrado causato dagli scombussolamenti climatici è gravemente compromessa da insulti di diversa natura, quali la pesca eccessiva, l’inquinamento e la distruzione degli habitat. In sintesi, gli ecosistemi sono al collasso e sono sempre di più le specie minacciate di estinzione. La perdita di biodiversità marina, fino a oggi limitata per lo più a scale locali, sta diventando globale, e nell’arco di una generazione potremmo giocarci un intero ecosistema quale la barriera corallina. Si profila, a velocità vertiginosa se rapportata ai normali tempi geologici, la sesta grande estinzione di massa della storia della vita sul pianeta degli ultimi 600 milioni di anni. Un’estinzione causata unicamente dall’uomo; l’era in cui viviamo è stata giustamente battezzata Antropocene.
La considerazione più urgente di fronte a tale disastro, da tempo annunciato dalla scienza in tutte le lingue dell’uomo, è che ci riguarda tutti da vicino. Demolire ecosistemi non è cosa da poco, soprattutto ecosistemi marini che forniscono servizi essenziali alla sopravvivenza umana – produzione di ossigeno e nutrimento, depurazione, mantenimento degli equilibri idrologici, assorbimento della CO2 atmosferica, ecc. – e sappiamo bene che la biodiversità è condizione essenziale per il buon funzionamento di un ecosistema. Ma non solo di servizi si tratta, perché il mare fa molto di più per noi: ci ispira, ci intimorisce, ci attrae, ci fa comporre musica e poesia, ci fa sognare e innamorare; tutti sentimenti che una pozzanghera putrescente, per quanto sconfinata, non potrà mai più evocare.

Darsi una spiegazione del perché stiamo precipitando verso la catastrofe come passeggeri di un treno senza macchinista attiene più agli ambiti della sociologia e della politica che a quello della scienza. Un aspetto fondamentale riguarda il divorzio dal mondo naturale che è andato creandosi nella fascia più colta delle società moderne, la fascia – per intenderci – cui appartengono anche molti lettori di blog. Vivono, costoro, in una bolla superprotetta isolata dall’universo, e sono così portati a ingannarsi che la loro bolla sia l’universo. Finché non arriva uno tsunami che rompe la bolla e li riduce in poltiglia.

Sia chiaro che mettere in guardia contro gli effetti certi di questa assenza di politica ambientale che affligge l’umanità non è una profezia di sventura. Le Cassandre non hanno mai goduto di grandi simpatie. Personalmente ricordo bene il senso di fastidio che mi dava il personaggio, nelle letture omeriche della gioventù; “smettila di frignare – mi veniva da dirle – e datti una mossa”. Lei, poveraccia, non poteva fare un granché, perché la distruzione del suo mondo era nelle cose. Qui sta la differenza. Noi siamo ancora in tempo, ma per fare qualcosa abbiamo bisogno di precisa e determinata volontà politica. Ancora non è apparsa all’orizzonte.

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