Ieri sono stato a Torino per seguire la vicenda della Bertone, dove si profila “la terza guerra contrattuale” di Marchionne. C’era l’assemblea degli operai, anche lì la Fiat vuole imporre “il contratto Pomigliano”, prendere o lasciare altrimenti a casa, anche lì è successo di tutto: su questo ho scritto un articolo che trovate sul sito e sul giornale di oggi (e abbiamo girato un servizio che vedrete stasera a In Onda).

Ma non è di questo che voglio parlare. A Torino ci sono anche le primarie per scegliere il nuovo sindaco, e di sera sono andato a fare un’intervista pubblica a uno dei candidati (che fra l’altro ha un profilo politico-culturale diverso dal mio, visto che viene dalla tradizione cattolica), si chiama Davide Gariglio. Non lo conoscevo e non l’avevo mai incontrato, mi ha chiesto se ero disposto a fargli un’intervista pubblica, e gli ho risposto: “Sappi che se vengo ti farò qualsiasi domanda, una intervista vera”. Mi ha risposto: “Non chiedo di meglio, affare fatto”. Gli ho posto davvero tutte le domande immaginabili, comprese quelle sulle voci che in questa campagna elettorale un po’ velenosetta hanno messo in giro su di lui. Che da amministratore della società dei trasporti avrebbe fatto lo zar, che ci sarebbe per lui un soccorso azzurro dell’ex democristiano Vito Bonsignore, pronto a far votare gli uomini del Pdl per lui. Se lo avessi fatto con Fassino mi avrebbe fatto sparare. Lui invece ha risposto a tutto in modo molto convincente, senza scomporsi, con passione.

Conosco anche un altro candidato a quelle primarie. Si chiama Michele Curto, è un trentenne, viene dalla scuola del gruppo Abele di Don Ciotti, è stato lanciato in pista da Giorgio Airaudo. Curto me lo sono ritrovato la mattina davanti alla Bertone, che distribuiva arance (cioè vitamine, il simbolo della sua campagna elettorale) davanti ai cancelli della fabbrica. Un trentenne e un quarantenne molto diversi, ma con un grande radicamento intorno a loro: giovani, volontari, ragazzi, entusiasmo. Mi sono detto: ci vuole questa carica per dare risposte a una città del terzo millennio.

Stamattina sono tornato in redazione, a Il Fatto. Il nostro caporedattore, Nuccio Ciconte – che ha passato una vita a Torino e un’altra a L’Unità – ha sgranato i suoi grandi occhi azzurri e mi ha detto: “Ma cosa hai fatto? Sei andato a intervistare il candidato anti-Fassino?”. Era quasi indignato. Gli ho risposto sì. Mi ha detto: “Ma pensi che Gariglio sia una mammoletta o un santo?”. Gli ho detto: “No. Ma penso che sia molto meglio di Fassino. E ho provato a spiegargli perché credo che sarebbe una iattura la vittoria dell’ex segretario dei Ds (sostenuto da Repubblica e La Stampa e da tutti i poteri forti della città). Gariglio e Curto spiegano che cambierebbero classe dirigente. Fassino si è fatto celebrare da un parterre du roi di banchieri e imprenditori di cui il più giovane aveva sessantacinque anni, e in cui tutti stringevano le leve di un qualche potere. Fassino, quando parla della Fiat, pare che si metta sull’attenti e quando gli chiedono cosa pensi di Marchionne dice, con una banalità sconvolgente: “So che è l’amministratore delegato della Fiat” (geniale). A Oxford si dice: grazie al c…

Ecco, per spiegare come conti la questione anagrafica, basti dire che Curto è giustamente molto critico sulla Fiat e continua a chiedere notizie dei fantomatici piani industriali e dei modelli che ballano e scompaiono come lucciole. E che persino Gariglio, che dovrebbe essere di centro, e sostenuto dalla Cisl, dice pubblicamente: “Nel 2003 abbiamo dato miliardi di euro alla Fiat a patto che mantenesse la produzione della Punto a Mirafiori. Bene, dopo sei mesi – cito dalle cronache del nostro bravissimo Stefano Caselli – quella produzione non c’era più”. Ho chiesto a Gariglio cosa fosse accaduto se Fassino, teoricamente più di sinistra, era sdraiato sul Lingotto, mentre lui, teoricamente filo-Cisl, era così critico. Mi ha risposto così: “Primo: Fiat o non Fiat, un sindaco deve fare l’interesse della sua città, e se la Fiat delocalizza non fa l’interesse della città. Secondo – sorriso – al contrario di Fassino io non appartengo alla categoria dei convertiti, non ho nulla da farmi perdonare”. Perfetto, direi.

Chiudo con tre cose su Fassino, che seguo come cronista da tanti anni. Ha più di sessantanni, ha fatto sette legislature, ha fatto il segretario di partito. E’ di quelli che non riesce a staccare la spina nemmeno se lo tirano giù con la Gondrand. Come gli altri gerontocrati del Pd, non concepisce l’idea di non avere una scorta, un ufficio, una segretaria e un adetto stampa. E rischia di fare un altro pasticcio, come Rutelli a Roma, la cui candidatura nel 2008 era chiaramente improponibile, senza bisogno di andare a votare. Ieri Fassino ha annullato la chiusura della campagna elettorale invocando il rispetto per i morti in Libia e in polemica con Gariglio: “Non mi pare religioso fare un concerto mentre c’è una crisi”. Sono rimasto allibito: ho pensato che Fassino ha stretto le mani di Gheddafi da viceministro con deleghe sulla politica estera, e non si è fatto nessuno scrupolo quando si è trattato di votare il trattato di amicizia italo-libico in parlamento (dove solo Furio Colombo e Andrea Sarubbi hanno avuto il coraggio di opporsi alla legge dei petrodollari che non puzzano). Avesse almeno il buon gusto di tacere, no?

Ieri ha fatto di più. Siccome Gariglio ha pubblicato il video con Moretti che diceva (a lui e Rutelli) “Con questi qui non vinceremo mai!” (parole sante), ha detto minaccioso: “Spero che non lo voglia fare”. E perchè mai non avrebbe dovuto? Era una pubblica manifestazione, mica un video porno. Repubblica Torino, sdraiata su Fassino, ha chiesto a Moretti cosa pensasse. E lui: “Non ne so nulla” (cos’altro avrebbe dovuto dire?). Ma il titolo di oggi – scuola di giornalismo! – era un incredibile esempio di disinformazione: “Da Moretti stop a Gariglio: Non strumentalizzatemi” (Ma che si sono fumati?).

Infine un ricordo. Sei anni fa, venni chiamato da Luca Iosi a presentare una serata in cui si celebrava, simbolicamente, un patto generazionale anti-nonnistico. Fassino venne lì a sottoscrivere volontariamente questo impegno: “Non assumerò ruoli apicali e responsabilità politiche dirette dopo i sessant’anni. Mi impegno a lasciare i ruoli di leadership continuando ad offrire l’apporto nei ruoli di vice, di saggio, di consulente”. Adesso, spiegando la sua candidatura, ha detto: “Lo faccio per promuovere i giovani”. Come no, parola di Fassino.

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