Perché protestano in Libia?

Il regime possiede e controlla tutti i mezzi di diffusione televisiva, radiofonica e di stampa del Paese, impedendo di fatto la nascita di testate indipendenti.
Chi tenta di esprimere pacificamente un’opinione critica o di associarsi in Organizzazioni non governative, rischia l’ergastolo e la pena di morte tramite fucilazione.
Chi, per sfuggire a miseria o persecuzioni politiche, migra o viene respinto è recluso a tempo indeterminato in centri di detenzione inumani, esposto a violenze e torture.
Chi ha rapporti sessuali al di fuori del matrimonio è punito con 100 colpi di frusta e fino a 5 anni di carcere.
Per chi ruba, invece, è prevista l’amputazione della mano destra o l’amputazione incrociata (mano destra e piede sinistro).

Oggi assistiamo alla feroce e assurda repressione ordinata da Gheddafi contro coloro che sono scesi in piazza a contestarlo, causando finora la morte di almeno un migliaio di persone.

Nonostante ciò, Muammar Gheddafi nega di aver usato la violenza contro i propri manifestanti: “nel Paese va tutto bene” avrebbe assicurato al telefono con il nostro premier, il quale fino a ieri aveva preferito non esporsi sulla tragedia in Libia affermando di non voler “disturbare” il Colonnello. D’altronde era stato proprio Berlusconi a definirlo «un vero e profondo amico» e «un leader di grande saggezza» lungimirante nelle crisi internazionali.

Intanto Amnesty International, che ha da poco pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani in terra libica, così ha risposto alle nostre domande su questo tema per aiutarci a capire meglio quali ragioni possano aver animato le rivolte:

di Stefano Capezzuto

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