“Dimostrare l’eventuale correlazione tra l’inquinamento delle falde acquifere di Terzigno e la discarica di Cava Sari è possibile. Ma sono necessarie nuove analisi, peraltro già programmate dalla Protezione Civile. Ci lavoreranno l’Istituto Superiore per la Sanità, l’Ispra, l’Arpac e l’Università di Napoli e noi consulenti dei comuni del vesuviano continueremo ad affiancarli in ogni nuovo rilievo e sondaggio”. Tempi? “Potrebbe bastare un mese”. Lo afferma Michele Moscariello, chimico, perito di diverse procure campane e in particolare dei pm di Napoli Noviello, Sirleo e Chiaromonte in alcune delle principali inchieste sul disastro spazzatura in Campania. Moscariello è uno dei tecnici di fiducia dei comuni di Terzigno e Boscoreale per la vicenda Cava Sari, e in una relazione ha spiegato i risultati dei rilievi effettuati dai tecnici dell’Arpac il 29 ottobre e resi pubblici ieri. Analisi che hanno confermato quanto già emerso in analoghe operazioni dei mesi scorsi e del 2009, ossia l’inquinamento delle falde acquifere profonde per la presenza di zinco, fluoruri, nichel, manganesio e alluminio. “Nonostante questi risultati abbiano puntualmente evidenziato il superamento delle Csc di molti parametri e tra questi, quelli di metalli pericolosi e di sostanze fortemente cancerogene – scrive Moscariello – appare grave ed incomprensibile che non siano state adottate dall’Asìa e dagli organi preposti al controllo tutte le procedure operative previste dall’articolo 242 del decreto legislativo 152/2006”.

Lei però ha anche scritto che nemmeno da queste analisi è possibile stabilire un nesso tra la discarica di Terzigno e l’inquinamento delle falde.

“L’ubicazione dei tre pozzi è stata fatta male, manca una chiara identificazione del tragitto delle acque. E non è stata compiuta una stratigrafia del suolo. Lo scavo è arrivato direttamente a 230 metri di profondità senza verificare se ci fossero o meno falde superficiali che potevano miscelarsi con quella sottostante. Informazioni necessarie per stabilire la fonte di contaminazione”.

E’ ancora possibile stabilirla?

“Sì, è ancora possibile. Le analisi rese pubbliche ieri sono solo il punto di partenza di nuove indagini predisposte dalla Protezione Civile. Mentre l’Asìa (l’azienda che gestisce la discarica, ndr) continuerà a monitorare i pozzi-spia, si effettueranno rilievi con traccianti isotopici per individuare il percorso delle acque”.

Lei, da esperto, che idea si è fatto in base alla documentazione in suo possesso?

“Presumo che la contaminazione potrebbe essere anche riconducibile alle discariche preesistenti nell’area, sia quelle legalizzate che quelle abusive. Mi sembrerebbe strano che una discarica così giovane come quella attualmente in esercizio possa essere riuscita a contaminare in tal modo le falde profonde. Però è grave che sia stata autorizzata una discarica in un’area che risultava così compromessa, dove evidentemente sono stati elusi tutti i controlli preliminari che la legge prevede”.

Insomma, Cava Sari non si doveva aprire?

“Per aprirla, bisognava prima dimostrare quale era la causa preesistente dell’inquinamento delle falde acquifere profonde, e intervenire con una bonifica. Cosa tecnicamente irrealizzabile: bonificare una falda significa rimuovere tutto quello che c’è dentro, è una parola riuscirci…”.

Ma il prosieguo dell’attività della discarica è compatibile coi dati diffusi ieri?

“Bisogna prima stabilire con certezza le fonti dell’inquinamento. E’ ancora troppo presto per dare una risposta”.

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