Nel paradisiaco mondo descritto dalle Ferrovie dello Stato, ricavi e margini sono in aumento, fatta eccezione per l’Alta Velocità. L’esercizio 2016 si è chiuso con i ricavi operativi che salgono a 8,93 miliardi di euro, un più 4% a quota 343 milioni realizzato anche tramite operazioni di valorizzazione di asset concluse nel corso del 2016. Fra queste, la cessione della gestione degli spazi commerciali non core attraverso la vendita di Grandi Stazioni Retail. “Nove anni di fila che presentiamo profitti, siamo in grado di dare un buon dividendo all’azionista e abbiamo restituito molto all’Italia”, dicono alle FS. Peccato che i profitti siano quelli sovvenzionati dai lauti corrispettivi di Stato e Regioni visto che il trasporto pendolari e l’Infrastruttura (RFI) sono privi di concorrenza. E per stessa ammissione delle FS sono i business andati meglio, mentre i settori aperti alla concorrenza alta velocità e cargo merci sono in perdita.

Dato che l’azionista unico di FS è il Ministero dell’Economia, lo stesso che gira direttamente abbondanti risorse al vettore ferroviario per la rete e alle Regioni per il Tpl, i profitti appaiono come una partita di giro del debito pubblico. Allo sviluppo del fatturato contribuiscono le operazioni societarie come l’ingresso sul mercato inglese con la gestione di una linea ferroviaria che collega Londra con l’Essex, l’ampliamento del gruppo automobilistico Busitalia ed il recente acquisto della società olandese Qbuzz che gestisce il trasporto pubblico in due provincie dei Paesi Bassi.

Perché allora questo repentino e sorprendente cambio al vertice con le dimissioni di Barbara Morgante da amministratore delegato e l’ingresso di Orazio Iacono. Squadra che vince non si cambia, almeno sulla carta. L’azienda è una grande holding ferroviaria pubblica in posizione di monopolio controllando il 90% del mercato ferroviario passeggeri e merci. L’ex amministratore delegato andrà ad assumere la direzione delle partecipazioni estere: il nuovo business internazionale è servito al momento almeno a questo. L’amministratore delegato di Fs, Renato Mazzoncini, è stato chiaro a Cernobbio pochi giorni fa: “Il trasporto collettivo non è il cardine della mobilità urbana come avviene nelle realtà più virtuose dei Paesi europei”. Stare in coda nel traffico costa, le ferrovie devono diventare protagoniste del trasporto pubblico nelle aeree metropolitane e nelle città.

Con mezzo secolo di ritardo rispetto alle ferrovie tedesche e francesi, le Ferrovie italiane scoprono “l’acqua calda”. Già alla fine degli anni Sessanta molte ferrovie europee sono entrate nel trasporto metropolitano di Parigi, Berlino, Monaco, Zurigo e Francoforte: sono stati acquistati elettrotreni adatti al traffico urbano e sub urbano con quattro porte per lato e scattanti come treni della metropolitana. Acquistando il 36% da Astaldi della M5 e con esso il controllo societario, le FS fanno due errori contemporaneamente: da un lato non entrano nella gestione della metropolitana che resta affidata per convenzione ad ATM; dall’altro sborsano 64,5 milioni per acquistare un’infrastruttura già pagata con risorse pubbliche (statali e comunali).

Con l’appoggio del Ministero proprietario (il Dicastero dell’Economia) e vigilante (quello delle Infrastrutture), RFI rimarrà parte integrante delle FS vanificando la separazione tra la gestione dei servizi e quella della rete consigliata dalla Ue. E vista l’assoluta mancanza di voglia da parte delle Regioni di fare le gare per l’affidamento dei servizi, c’è da dubitare di un salto di qualità nella produzione dei servizi in particolare per i pendolari e nelle città dove si dice di voler entrare per sviluppare la mobilità sostenibile. Del resto, nonostante il richiamo ai trasporti metropolitani, in questi giorni è partita una gara per l’acquisto di 300 nuovi treni ancora a due piani e due porte mentre sono solo 150 quelli con quattro porte e ad un piano necessari per i servizi metropolitani. Del miliardo e 900 milioni di ricavi da contratto di servizio regionali, quasi un terzo sono trasferiti dalla Regione Lombardia. In questa regione il km/treno costa 22 euro, il doppio di quanto costa in Piemonte o in Emilia Romagna.

Resta ancora lontana quella ristrutturazione industriale ed organizzativa indispensabile per far diventare le FS un’azienda sì sussidiata ma almeno efficiente e protagonista del cambiamento della mobilità di passeggeri e merci.

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