Premessa: amo il cinema americano senza se e senza ma. Non è un amore basato su attente valutazioni critiche, ammirazione di trovate narrative inedite o stupore per scelte registiche inconsuete. No. Per me, un film americano che si rispetti è quello che ti tiene inchiodata allo schermo dall’inizio alla fine, che entri al cinema annoiata, magari un po’ sottotono, e vieni trascinata in una storia così piena di colpi di scena, che più o meno ti dimentichi di qualsiasi altra questione. E quando esci il tuo problema numero uno è capire se al minuto 17 “lui” le ha fatto davvero l’occhiolino e poi se la battuta di “lei” al minuto 52 è una prova di fragilità o una cattiveria raffinata. Insomma, il mio è un amore irriflesso, quasi infantile.

E allora, sì, mi sono innamorata di Miss Sloane (il regista è John Madden, che peraltro in realtà è inglese). Lei, la protagonista, Elizabeth Sloane (alias Jessica Chastain) è la regina delle lobbiste. Bella per essere bella, di una bellezza aggressiva e dura, gelida e determinata, manipolatrice fin nel midollo, all’occorrenza in grado di (sembrare?) appassionata, sufficientemente pazza da usare se stessa, gli altri e qualsiasi tipo di emozione (oltre che di mezzo) per vincere una battaglia.

Non dorme, mangia sempre nello stesso posto, si serve di escort e se deve fare conversazione a fini professionali, chiede allo staff di prepararle gli argomenti. “Ma tu sei mai stata normale? O questi perversi processi mentali ti accompagnavano già nella pancia di tua madre?”, le chiede a un certo punto il capo della società che la ha assunta alla guida della campagna per far approvare una legge che limiti il possesso delle armi da fuoco. Elizabeth non ha una vita o quella è la vita? Non ha emozioni o quelle sono le sue emozioni? Esiste qualcosa o qualcuno per lei che conti al di fuori della sfida? Il personaggio queste domande le suscita tutte e proprio l’impossibilità di dare una risposta definitiva (persino di concludere se ha un senso cercarla tale risposta) è uno dei motivi di fascino del film.

E però, il motivo principale è un altro: come da migliore cinema americano, Miss Sloane anticipa una tendenza definitiva, una mutazione ormai compiuta, in maniera divulgativa e fruibile da tutti. Il film racconta una battaglia tradizionalmente “nobile”, quella contro la lobby delle armi. E racconta come venga condotta in prima linea da lobbisti, per i quali – viceversa– la nobiltà tradizionalmente non entra nelle valutazioni in gioco. Cosa c’è di nuovo? Nel macro-tema, forse niente. Ma nel racconto invece sì.

Nel film, a fare i dibattiti tv non ci vanno i politici, ma direttamente i comunicatori e i lobbisti. Sono sempre loro a diventare i volti testimonial della campagna. È all’interno delle loro squadre che ci sono personaggi guidati da ragioni etiche e altri che portano avanti solo questioni di opportunità. E i politici? Pallide figure sullo sfondo, che cercano il consenso in maniera confusa. “Vogliono solo mantenere il loro culo sulla poltrona” è la battuta – così trita e ritrita da essere un assioma indimostrabile – che i protagonisti di Miss Sloane ripetono a turno per tutto il film.

D’altra parte, che cosa era House of Cards se non la rappresentazione estrema di quella politica lì? Ma il protagonista, Frank Underwood, era un deputato, poi il presidente degli States. Ecco, Miss Sloane è quello che viene dopo: i politici sono sostanzialmente spariti, i comunicatori e i lobbisti li comandano a bacchetta, il Congresso non è che una rappresentazione, perché tutto quello che conta avviene altrove.

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