di Anna Maria Giannini*

Com’è possibile che una lite per una mancata precedenza, un tamponamento o un sorpasso possa dare luogo a derive criminali? La cronaca di questi giorni ha raccontato il caso di un’aggressione sulla strada che ha portato addirittura alla morte. Questo genere di comportamento è stato studiato ed è oggetto di pubblicazioni scientifiche di psicologia, dalle quali è emerso chiaramente che le persone più aggressive e che tendono a reagire con irritazione sono quelle più spesso coinvolte negli incidenti stradali.

Questi soggetti sono spesso incapaci di usare l’empatia e leggono le condotte altrui da un punto di vista univoco, senza chiedersi cosa abbia spinto l’altro a un’azione, quale sentimento possa provare o se ci possano essere modi di conciliare le diverse posizioni. In questa situazione, l’auto o la moto divengono un’estensione del proprio ego, una parte rilevante del sé, dunque strumenti di affermazione o elementi che devono essere “difesi” al costo della colluttazione fisica o della deriva litigiosa.

I tratti aggressivi sono aspetti del comportamento che descrivono in senso generale alcuni individui, ma che vengono espressi con maggiore intensità proprio sulla strada, in quanto luogo caratterizzato dalla compresenza di più persone e strettamente regolato da un codice normativo. In questo contesto, l’aggressività può essere talmente intensa da far perdere completamente il controllo e la valutazione delle conseguenze: ecco dunque che una colluttazione può sfociare in una conseguenza drammatica.

Quando chi l’ha provocata viene poi interpellato sulle ragioni di tale gesto, la risposta fa riferimento a una generica perdita di lucidità e di abbandono allo stato emotivo contingente. Nei casi in cui le persone agiscono sotto effetto di alcool o sostanze, poi, i meccanismi di controllo del comportamento sono ancora più alterati e la possibilità di previsione delle conseguenze ancora più difficile se non impossibile.

A questo proposito, occorre distinguere tra una condotta che rischia l’omicidio per negligenza o scarso senso di responsabilità di chi è alla guida (pensiamo all’assunzione di alcolici o altre sostanze, appunto, o all’eccesso di velocità) da quella di colui che agisce con l’aperta intenzione di offendere, mettendo in atto comportamenti intenzionalmente diretti a produrre gravi danni all’altro, con conseguenze che non possono non essere previste.

In questo caso le aggressioni non sono poste in essere sulla base del cosiddetto “impeto”, cioè a seguito della perdita di controllo, bensì perpetrate con intenzione e in perfetto stato di lucidità, con l’intenzione di “punire” e sopraffare chi si percepisce come colui o colei che ci ha intralciato, che ci si è frapposto, che non ci ha dato la precedenza e così via.

I processi emotivi della rabbia e dell’irritazione appartengono a tutto il genere umano e dunque è assolutamente tipico che tali emozioni vengano attivate da comportamenti percepiti come provocatori. Tuttavia, la maggior parte delle persone provano tali emozioni in modo congruente e sono in grado di attivare i necessari “freni” comportamentali, di fare ricorso cioè all’apparato di norme e regole interiorizzate fin da bambini attraverso l’educazione.

Ciò che caratterizza le reazioni violente è la mancata attivazione dell’inibizione del “passaggio all’atto”, la mancata capacità o volontà di mantenere su un piano di corretta convivenza, e quindi di scambio verbale civile la discussione e l’elaborazione della dinamica di quanto è accaduto.

A questo proposito, nei confronti dei soggetti inclini a tali condotte è essenziale la predisposizione di programmi di recupero e riabilitazione. Ma ancora più evidente è l’importanza, in chiave preventiva, dell’educazione: la pianificazione di un programma di interventi che, a tutti i livelli di età, si proponga di costruire e sviluppare modalità di comportamento pro-sociali e di sviluppo della capacità di auto-controllo.

*psicologa e psicoterapeuta

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