A imporre una modifica dei regolamenti è quello che all’epoca viene definito “l’affare Andreotti”. È l’ottobre del 1984, e l’allora ministro degli Esteri del governo guidato da Bettino Craxi finisce al centro delle polemiche per il suo presunto coinvolgimento nel caso Sindona. “Non può più ricoprire quella carica”, protestano le opposizioni. Ma come costringerlo alle dimissioni? Alla Camera si vota una mozione, presentata dai Radicali, che impegni il governo a sollevare Andreotti dal suo incarico. I numeri per farla passare ci sarebbero, ma il Pci, per volere dell’allora capogruppo Giorgio Napolitano, si astiene. Andreotti resta, e scoppia la polemica (soprattutto dentro Botteghe Oscure). È in un clima piuttosto teso, insomma, che una analoga mozione viene presentata anche al Senato. Ma la giunta del Regolamento di Palazzo Madama, su input del presidente Francesco Cossiga, capisce che bisogna inventare una procedura più rigorosa di quelle fino ad allora seguite. E nasce così la mozione di sfiducia individuale: il 30 ottobre il Senato ne vota ben 3, presentate da forze diverse ma tutte finalizzate a far dimettere il leader della Dc. E tutte respinte: “Per Andreotti sofferta assoluzione”, titola il giorno seguente La Repubblica.

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