Musica

Baustelle, esce L’Amore e la violenza: citazionista fino allo sfinimento ma da ascoltare. Nonostante i Baustelle

Proporrei una moratoria. Da oggi i Baustelle non parlino più, Bianconi si tagli i baffi e smetta di vestirsi come fosse un bohemien, faccia il cantante, lo scrittore, quel che è senza necessariamente fare anche l'attore. Perché i testi delle canzoni di questo lavoro, le melodie curate, nonostante la voce di Bianconi, i suoni ricercati (i sinti, per dirla con Savastano, le batterie che non sono batterie), meritano l'ascolto

di Michele Monina

Monteodorisio è un bellissimo paesino nell’entroterra chietino. Un borgo arroccatto sul cucuzzolo di una collina, con alle spalle la Maiella e di fronte il mare Adriatico nel punto in cui l’Abruzzo confina con il Molise. Anni fa, a Montodorisio si è tenuta una tappa di un bellissimo festival che si chiamava Cammini Europei e portava, appunto, per paesi e borghi abruzzesi artisti e band di interesse per un pubblico giovane (non giovanissimo) e colto. A Monteodorisio suonavano i Baustelle. Essendo in vacanza in zona, a Vasto, decido di andare. Lascio la macchina, come tutti i partecipanti all’evento, ai piedi del colle e vengo trasportato sotto il paesino con una navetta messa a disposizione dagli organizzatori, poi salgo con una fiumana di giovani verso il paese. Il concerto si tiene nella piazza principale. I Baustelle attaccano a suonare le loro canzoni. La piazza esplode entusiasta. Da una delle finestre del paese si affaccia un vecchietto in canottiera. Si sporge verso il palco, bestemmia, e chiude le finestre, tirando giù le persiane. I decibel che escono dalle casse e i cori del pubblico devono aver reso vano il tentativo molto romantico del vecchietto di porre una persiana tra sé e i Baustelle.

Ecco, io mi sento come il vecchietto di Monteodorisio. Esce L’amore e la violenza e vorrei porre qualcosa tra me e questa uscita. Perché tutti, ma proprio tutti tutti ne stanno parlando. Nella maniera che i Baustelle prevedono ultimamente, o con toni enfatici al limite dl fanatismo o con odio e astio che solitamente si dovrebbe riservare a musica decisamente più nociva. Il fatto è che intorno ai Baustelle si spendono sempre troppe parole, e i primi a farlo, in qualche modo, sono proprio i Baustelle stessi, rendendo le loro canzoni, anche quando pretendono di essere solo canzoni pop, come in questo caso, altro. La faccenda, ovviamente, tende a infastidire chi, per varie ragioni, pensa che le canzoni dei Baustelle siano, appunto, canzoni pop, quindi da prendere per quel che sono, non per trattatelli filosofici, tanto per citarli. Dopo il Moloch Fantasma, ci dicono i Baustelle, è il momento del pop di L’amore e la violenza, un album in cui i nostri decidono di affrontare la forma canzone guardando seriamente alla forma canzone, quindi alla melodia, ai testi e agli arrangiamenti, e partendo dal punto di vista, rispettabile ma anche opinabile, che la forma canzone si sia in qualche modo impantanata col volgere degli anni Ottanta.

Ecco, i Baustelle con L’amore e la violenza decidono di dare vita a un album citazionista fino quasi allo sfinimento, fatto di brani che, nella loro fantasia, guardano a quel periodo. Ora, il citazionismo stilistico e formale rivisto e corretto non è certo un’invenzione dei Baustelle, e anche l’usare un lessico fuori dal tempo misto a parole odierne. Fossimo in letteratura parleremmo, ma anche qui finiremmo nel loro stesso gioco, di Avant Pop. Non a caso David Foster Wallace, autore che all’epoca della nascita del suddetto genere letterario, era uno dei massimi alfieri dell’Avant Pop, è finito dentro una delle canzoni, Basso e batteria, che non a caso comincia col giro introduttivo della sigla di Sandokan. Alto e basso, antico e moderno, insomma, ci siamo capiti.

In realtà, mi sembra, L’amore e la violenza è un bell’album dei Baustelle, nonostante i Baustelle. Nonostante quello che i Baustelle ci hanno raccontato di L’amore e la violenza, nonostante quelli che scrivono dei Baustelle ci hanno raccontato de L’amore e la violenza. Proporrei una moratoria. Da oggi i Baustelle non parlino più, Bianconi si tagli i baffi e smetta di vestirsi come fosse un bohemien, faccia il cantante, lo scrittore, quel che è senza necessariamente fare anche l’attore. Perché i testi delle canzoni di questo lavoro, le melodie curate, nonostante la voce di Bianconi, i suoni ricercati (i sinti, per dirla con Savastano, le batterie che non sono batterie), meritano l’ascolto e il fatto che loro ambiscano così tanto a starci sul cazzo fa correre il serio rischio di impedire un ascolto sereno. Essere intelligenti e colti, mettersi nella posa di chi non vuole far troppo vedere di essere intelligente e colto per far in realtà vedere di essere intelligente e colto, questo sembra il giochino del giorno in casa Baustelle, mentre basterebbe lasciare che a parlare fossero le canzoni, da Il Vangelo di Giovanni a Eurofestival fino alla conclusiva e degregoriana Ragazzina.

Baustelle, esce L’Amore e la violenza: citazionista fino allo sfinimento ma da ascoltare. Nonostante i Baustelle
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