L’utilizzo del collare elettrico sui cani con comando a distanza è vietato e costituisce reato. Lo ha ribadito la Cassazione (terza sezione penale, n. 50491, depositata il 26 novembre 2016), confermando una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Trento per il reato di cui all’art. 727 cod. pen. a carico del proprietario di un cane ritenuto colpevole di “avere detenuto il suo cane in condizioni incompatibili con la sua natura, facendogli indossare un collare elettronico in grado di procurargli sofferenza mediante una scossa emessa dagli elettrodi del collare”.

E ha quindi respinto la tesi della difesa secondo cui il collare era stato utilizzato solo per emettere comandi sonori e non anche scariche elettriche a scopo addestrativo, ritenendo ben più attendibile l’assunto del Tribunale il quale, sul piano logico, aveva escluso che un collare in grado di emettere sia impulsi sonori sia impulsi elettrici fosse stato acquistato e fatto indossare al cane solo per usarlo per gli impulsi sonori; aggiungendo che l’inflizione di scariche elettriche è produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza.

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(foto di Soyua – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Si consolida, quindi, un orientamento della Cassazione già delineato nel 2007 e poi ribadito nel 2013, nel 2014 e nel maggio 2016. In particolare, si segnala che con la sentenza n. 38034 depositata il 17 settembre 2013 la Cassazione ha ritenuto che “collare elettronico sia certamente incompatibile con la natura del cane: esso si fonda sulla produzione di scosse o altri impulsi elettrici che, tramite un comando a distanza, si trasmettono all’animale provocando reazioni varie. Trattasi in sostanza di un addestramento basato esclusivamente sul dolore, lieve o forte che sia, e che incide sull’integrità psicofisica del cane poiché la somministrazione di scariche elettriche per condizionarne i riflessi e indurlo tramite stimoli dolorosi ai comportamenti desiderati produce effetti collaterali quali paura, ansia, depressione e anche aggressività“. Tanto più che in quel caso “nulla giustificava detta condotta illecita avendo il cane un’indole docile e remissiva“.

Peraltro, anche la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, ratificata dall’Italia con la legge n. 201 del 2010, stabilisce (art. 7) che “nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute e il suo benessere, in particolare costringendo l’animale a oltrepassare le sue capacità o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze e angosce inutili”.

A questo punto, l’unico dubbio riguarda la qualificazione del reato. Le sentenze citate, infatti, fanno riferimento all’articolo 727 c.p. sull’abbandono di animali che, al secondo comma, punisce con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1000 a 10000 euro “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, mentre nel 2007, a proposito di un collare elettrico “antiabbaio”, era stato prospettato il più grave delitto di maltrattamento di animali (art. 544 ter) che punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, sottopone un animale a sevizie o comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. E, francamente, non mi sembra che l’uso del collare elettrico sia una “necessità” nell’addestramento di un cane.

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