Ieri, giusto in tempo per poter fare parte a pieno titolo della Cop22 a Marrakesh, il Parlamento europeo ha ratificato a stragrande maggioranza (610 voti a favore, 38 contrari e 31 astenuti) per l’Unione l’accordo sul la riduzione delle emissioni raggiunto l’anno scorso a Parigi. La Cop21 si era chiusa nel dicembre 2015 con un successo per molti inaspettato, poiché per la prima volta ha reso il cambiamento del clima una sfida globale cui tutti hanno riconosciuto di dover rispondere con impegni espliciti e vincolanti, almeno rispetto all’obiettivo di dover mantenere il riscaldamento del pianeta “ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e di impegnarsi a limitare l’aumento della temperatura a 1.5°C.

La ratifica dell’Ue prelude a un’entrata in vigore dell’accordo di Parigi che molti non si aspettavano prima dell’anno prossimo o ancora dopo: questo è un segno importante del fatto che qualcosa si muove e che il tempo per l’applicazione concreta degli impegni è già arrivato. L’Europa, dopo qualche seria esitazione, è riuscita a muoversi e a decidere con una velocità inusitata, quando ogni decisione richiede tempi infiniti (perfino laddove le regole permettono di agire rapidamente) e quando ogni governo mira a distinguersi invece che collaborare. È stato confortante vedere come l’Unione europea, per una volta, sia riuscita a mostrarsi ben di più della somma delle proprie parti, andando oltre le beghe e le lungaggini delle ratifiche nazionali, peraltro non richieste dalle regole vigenti.

Non è stato né facile né scontato. Si è trattato di un vero e proprio rush finale, spinto dalla ministra francese Segolène Royale e dalle istituzioni Ue, Commissione e Parlamento in testa, ma anche dalla presidenza del Consiglio slovacca, la quale per una volta ha lasciato perdere l’alleato polacco e sostenuto una ratifica “fast track” dell’accordo, procedura che prevede appunto che sia sufficiente la ratifica del Parlamento Ue e l’approvazione del Consiglio dei ministri e non richiede la ratifica di tutti e 28 gli Stati membri. Non è stato per niente facile e, nonostante i tweets del Presidente del Consiglio e le dichiarazioni di Galletti, oltre alla solita Polonia, c’era l’Italia ad opporsi alla ratifica prima di avere ottenuto sconti sulle riduzioni di emissioni che le toccano secondo la ripartizione per rispettare gli obiettivi già fissati nel 2014, obiettivi che sono assolutamente modesti e del tutto inadeguati alla ratifica di ieri. Infatti non li ha ottenuti e, dopo qualche capriccio, il nostro governo ha fatto buon viso a cattivo gioco e si è unito al giubilo generale.

Non possiamo però adagiarci sugli allori, ora che inizia la vera battaglia sul come l’accordo diverrà operativo. Come ben dimostrano le difficoltà incontrate in fase di ratifica, non siamo più leader della battaglia sui cambiamenti climatici. L’Unione europea deve rimboccarsi le maniche perché è indietro sulla transizione energetica, dei trasporti e finanziaria: se vogliamo che il nostro continente sia ancora competitivo in futuro, dobbiamo accelerare l’uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili, smettere di ostacolare con mille cavilli le rinnovabili e l’efficienza. Si tratta di una scelta che ormai conviene e non è più di nicchia o da ecologisti coi sandali: oggi è risaputo che persino il settore finanziario sta spostando ingenti somme dalle energie fossili a quelle rinnovabili e all’efficienza, così come si sa che la possibilità di generare nuovo e qualificato lavoro nei settori dell’edilizia “intelligente”, dei trasporti, delle politiche urbane e delle energie pulite è infinitamente maggiore rispetto a quella dei tradizionali settori fossili e delle grandi infrastrutture, persino in Italia.

Ora l’Ue e, dunque, l’Italia hanno di fronte una fase molto importante e delicata. Dopo l’emozione della ratifica alla presenza di un Ban Ki Moon a fine mandato e di una Segolène Royale in cerca di visibilità, è indispensabile che la Commissione europea mantenga le promesse e presenti al più presto le proposte per realizzare l’Unione per l’Energia, la quale ha l’ambizione di trasformare il nostro sistema energetico accompagnandolo fuori dalla dipendenza fossile e verso un sistema economico più forte e innovativo. A dicembre usciranno un gruppo di proposte legislative, dalle rinnovabili, all’efficienza energetica, al sistema di “governance” e alla struttura del mercato elettrico e molto è in gioco. Certo, l’alleanza di retroguardia tra la  Polonia e il nostro governo sulla ratifica non promette assolutamente nulla di buono in questa partita che si giocherà tra la Commissione, il Parlamento europeo (il quale, nonostante tutto, rimane un motore positivo importante) e gli stati membri che dovranno decidere da che parte stare.

Ma queste sono preoccupazioni che per oggi lasciamo da parte. Oggi si festeggia. Con i piedi per terra, ancora più attenti e motivati. Ma si festeggia.

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