Enel chiude 23 centrali e le riconsegna al territorio: un’occasione straordinaria per il paese di recuperare aree progettandone nuovi usi. Ma finora… silenzio tombale!

Con l’avvento di Francesco Starace alla guida di Enel (maggio 2014), la politica dell’ex monopolista elettrico ha subito una decisa sterzata. Il nuovo amministratore delegato, in una audizione al Senato nell’ottobre dello stesso anno (l’audizione si tenne il 15 ottobre, v. Quotidiano Energia del 15 ottobre 2014) spiegò che in uno scenario così rivoluzionato, come quello della generazione elettrica, Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche divenute ormai una zavorra difficile da sostenere. Eccesso di offerta di elettricità, calo dei consumi, aumento della generazione rinnovabile sono all’origine di questa colossale iniziativa di chiusura di centrali che hanno fatto la storia del nostro Paese. Interessante notare che il suo predecessore, Fulvio Conti, in una audizione in Senato, solo due mesi prima (il 26 marzo 2014), non aveva fatto alcun accenno a future dismissioni.

Interessante però non è solo che con Starace l’Enel abbia deciso di non costruire più impianti alimentati da fonti fossili (eccetto il gas all’estero), e che abbia quindi imboccato una strada verso la tanto citata decarbonizzazione, ma che abbia impostato un processo di dismissioni che prevede il confronto con tutti i soggetti presenti sui territori interessati.

A questo scopo la società ha creato anche un sito internet specifico, dove sono attualmente in vetrina 22 impianti ormai chiusi (manca il ventitreesimo: Assemini), destinati alla vendita o a progetti alternativi, definendo un progetto chiamato “Futur-e”.

Evidentemente Enel intende anticipare questo cambiamento puntando sulla tecnologia e l’innovazione per offrire ai clienti un servizio più evoluto, con prodotti e servizi per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dei consumi e soluzioni per la mobilità sostenibile. In questo scenario, la riconversione degli impianti rappresenta un’occasione per il territorio che potrà così cogliere diverse e nuove opportunità di sviluppo.

L’elenco delle centrali e la loro localizzazione è rappresentata qui sotto.

Rivoluzione Enel, grande occasione

In quasi tutte le realtà territoriali dove sono ubicate le centrali sono in corso contatti con amministrazioni, associazioni imprenditoriali, università per discutere le possibili destinazioni d’uso. La scelta di chiudere un numero così rilevante di centrali senza chiedere alcun intervento assistenziale da parte del governo rappresenta una novità nel panorama industriale italiano.

A partire dalla crisi economica del 2008 il settore elettrico ha subito una trasformazione epocale di cui alcuni amministratori se ne sono resi conto con grande ritardo. Ma basta guardare i dati del 2012 per comprendere come la scelta di Enel fosse la sola intelligente da affrontare senza esitazioni. Quell’anno si resero visibili gli effetti dell’inaspettata crescita del fotovoltaico nel 2011 che, combinati col calo dei consumi, avevano ridotto drasticamente il numero di ore di funzionamento delle centrali a gas (minandone la sostenibilità economica) – rispetto alle 4.120 ore di funzionamento del 2007 se era passati a sole 2.633 nel 2011, meno di un impianto idro – e messo KO quelle ad olio combustibile. Un secondo effetto che ha messo in ginocchio la generazione termoelettrica, sempre causato dalle rinnovabili è stato il calo del prezzo dell’energia all’ingrosso. Infatti la generazione fotovoltaica nelle ore di punta ha contribuito al calo del PUN (Prezzo Unico nazionale) nelle ore di picco; negli ultimi due anni il calo del prezzo del gas metano, ha ulteriormente spinto il prezzo dell’elettricità all’ingrosso ai suoi minimi storici.

Per citare altre centrali il cui futuro appare segnato, ricordiamo quella di Brindisi di A2A (dove si smantelleranno le unità 1 e 2), Sermide e Chivasso dove sono stati fermati due gruppi da 400 MW; Ponti sul Mincio, Monfalcone e San Filippo del Mela in Sicilia, destinato probabilmente ad una conversione nel settore dei rifiuti; infine Cassano d’Adda per cui A2A ha chiesto l’ok per la dismissione della unità n.1 (v. “Risiko termoelettrico, ecco la mappa”, Quotidiano energia 13 gennaio 2016). Infine a settembre si fermerà la storica centrale a carbone di Genova.

In sintesi si è chiuso un ciclo e la strada da intraprendere per il futuro è una definitiva scelta per un modelle elettrico basato sulle fonti rinnovabili e supportato da una rete smart. In questa situazione, la decisione di come utilizzare le aree delle centrali chiuse può essere una grande occasione per riutilizzare quelle vicine o all’interno di centri urbani a scopi più utili per le città e per trovare un nuovo ruolo a quelle distanti dai centri abitati, che sappiano coniugare la necessità di creare posti di lavoro con la tutela dell’ambiente. Le idee non mancano, ad esempio relativamente a Montalto di Castro si vocifera di un possibile riutilizzo come mega fabbrica per assemblare auto da parte di un produttore cinese, o di un enorme centro commerciale, o di un gigantesco data center (Google? Amazon?). Nel caso di Genova, trattandosi di un edificio storico, tutelato dalla Sovrintendenza per le belle arti, si ipotizza la realizzazione di un museo; per Trino Vercellese si parla addirittura di un circuito automobilistico, ma anche della sede di un datacenter di Amazon.

Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione. Ma nel nostro Paese le priorità risultano sempre altre, compresa la sconsolante diatriba sulla necessità (?!) di riformare la Costituzione.

Quello che stupisce è la reazione dei sindacati di categoria, che hanno fatto sapere di essere intenzionate a contrastare le iniziative di dismissione delle centrali non più remunerative annunciate dall’amministratore delegato. La nostra sensazione è che neppure i sindacati negli anni recenti abbiano compreso la rivoluzione in atto nel campo elettrico e che si siano spesso limitati e difendere posti di lavoro nella generazione convenzionale non valutando a pieno le potenzialità occupazionali di un modello alternativo. In quanto alla politica silenzio assoluto. Non c’è che da augurarsi che dopo la Cop 21, i moniti della Laudato Sì e gli allarmanti dati sul cambiamento climatico, si trovi tra le forze sociali e i movimenti sul territorio l’intelligenza e le capacità per sfruttare positivamente un’occasione storica (per una trattazione più esaustiva v. www.energiafelice.it).

a cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

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