Catalexit non è il nome di un farmaco antidepressivo bensì un acronimo dietro il quale si manifesta il disegno politico di una Catalogna indipendente. Uno Stato embrionale, nel cuore dell’Europa mediterranea, chiamato a negoziare su due fronti: uno da aprire a Madrid per fissare le condizioni del distacco dalla monarchia parlamentare spagnola, e l’altro a Bruxelles dove uno Stato nuovo presenterebbe la sua domanda di adesione all’Unione europea.

Un sondaggio del Centro studi opinioni della Generalitat, il governo regionale, segnala il favore della popolazione catalana per l’indipendenza, un 47% per il sì, il 42,4% contrario al distacco dalla Spagna, un dato che, se confermato, consentirebbe di superare il pareggio tecnico che ha sempre contraddistinto i rilevamenti demoscopici degli ultimi anni. A molta parte della società catalana sta stretto essere rappresentata in Europa dalle istituzioni che hanno sede nei palazzi di Madrid, considera limitante esporre le proprie ragioni all’interno del Comitato delle regioni, un semplice organo consultivo della Ue.

Meglio rientrare nell’Unione europea dalla porta principale, come nuovo Stato membro fondato su un sistema puramente repubblicano. Il rapporto con l’Unione europea va mantenuto, è questo un dato fuori discussione anche per i partiti indipendentisti, nel documento Las vías de integración de Cataluña en la Unión Europea (14 aprile 2014), la Generalitat, a maggioranza separatista, disegnava diversi scenari nelle relazioni con la Ue: quello della permanenza diretta nell’organizzazione comunitaria, oppure quello della successiva adesione, ordinaria o ad hoc.

Il processo è tutt’altro che facile, presenta forti discordanze sul piano politico e complessità sul piano tecnico: una dichiarazione unilaterale comporterebbe la chiara violazione della Costituzione spagnola – soltanto Podemos, tra i partiti nazionali, vedrebbe di buon occhio la celebrazione di un referendum nella sola Catalogna, senza il previsto coinvolgimento delle altre regioni iberiche – e una trasgressione dei trattati comunitari i quali valorizzano l’integrità territoriale degli Stati.

La Catalogna si troverebbe perciò fuori dalla Ue e dalle organizzazioni internazionali di cui è parte la Spagna: le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e il G20, tra le altre. Una dichiarazione unilaterale di indipendenza difficilmente permetterebbe la riammissione nell’Ue, al termine di negoziati lunghi e complessi sarebbe necessario l’unanime accordo del Consiglio europeo e il consenso dello Stato spagnolo, ferito nell’orgoglio e livoroso.

Una Catalogna indipendente non avrebbe più rappresentanza in seno alla Banca centrale europea e sarebbe probabilmente fuori dalla zona euro, con ripercussioni su un sistema imprenditoriale da sempre votato all’export. Le limitazioni alla libera circolazione non toccherebbero solo le merci ma si riverbererebbero anche sulla circolazione delle persone, così una città cosmopolita come Barcellona dovrebbe introdurre controlli rigorosi, e se nel suo porto si ammainasse la bandiera spagnola in favore della sola estelada, il vessillo catalano, uno dei più importanti scali del Mediterraneo diventerebbe il porto di un piccolo Stato.

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