I dati dei sondaggi che si alternano sul referendum costituzionale dicono in sintesi che l’operazione personalizzazione voluta da Matteo Renzi è stata un boomerang per il presidente dal Consiglio, costretto a rimangiarsi platealmente la sparata sulla sull’indissolubilità tra esito referendario, sorte del governo e suo futuro politico.

Il progressivo calo del ‘sì’ nell’arco degli ultimi quattro mesi, un crollo del 13% secondo le rilevazioni di Demos per Repubblica è un dato di cui Renzi non può non tenere conto e infatti, non a caso, si sta riposizionando sul refrain del “Chi vota ‘sì’ riduce i parlamentari, chi vota ‘no’ lascia le cose come sono” e “Basta con il Parlamento più costoso e contorto di tutti i paesi Nato”. Così per “entrare nel merito” e stanare i difensori a priori del ‘no’ alla riforma che farebbe “ripartire il Paese” ha preso tempo, si è gingillato per un po’ con l’ipotesi “spacchettamento” cara agli alleati di governo – e non priva di qualche fondamento, al di là della dubbia percorribilità, qualora non fosse stata agitata tardivamente e strumentalmente – e al momento giusto, ha posticipato ai primi di novembre, l’appuntamento che doveva essere un epocale spartiacque tra la preistoria e la nuova era.

Ma dei sondaggi Renzi ha colto anche il dato che dal suo punto di vista è il meno scoraggiante e sul quale è ritornato anche nell’intervista al Corriere.it: e cioè che una parte degli elettori che fanno capo a Forza Italia e anche al Movimento 5 Stelle potrebbe votare ‘sì’ “per un Parlamento più semplice e che costa meno”.

Su quanto sia infondata e strumentale la pseudo-argomentazione della riduzione stellare dei costi magnificata da Renzi e della “semplificazione” che, al contrario si è tradotta in una complicazione e sovrapposizione nei rapporti tra Stato e regioni,  è tornato sinteticamente Beppe Grillo che ha ripreso nel merito i rilievi che Gustavo Zagrebelsky aveva puntualmente stilato sulla riforma del Senato in un vademecum prezioso per un elettore consapevole.

Può qualcosa di “incomprensibile” essere lo strumento per “liberare l’Italia dalla palude burocratica, spezzare le catene che bloccano il Paese, liberare lo slancio” come ha scandito il governatore della Campania Vincenzo De Luca, incoronato dalla ministra per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, testimonial del ‘sì’ in tutto il Paese, dopo che il figlio Piero è già “coordinatore scientifico” del comitato, nonché candidato-eletto quasi certo? 

Chissà se si può attribuire qualche attendibilità al “presunto sfogo di Renzi” riportato su “Il Giornale” da Augusto Minzolini e prontamente smentito da fonti di palazzo Chigi: “Riforma costituzionale schifosa, ma serve per avere credito in Europa“. Si tratterebbe di un’affermazione sincera e totalmente condivisibile nella prima parte: solo che lascia altamente perplessi e/o allarmati riguardo il presunto giudizio attribuito all’Europa, che se effettivamente valutasse in termini così superficiali e acritici il prodotto confezionato da Renzi confermerebbe un livello di inadeguatezza più che preoccupante.

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