Le elezioni austriache hanno certamente monopolizzato l’attenzione della settimana politica passata eppure, domenica, non si votava solo al di là del Brennero ma anche nell’ultimo avamposto orientale dell’Ue, a Cipro. Certo, per dovere di cronaca, va detto che i primi ai quali è importato ben poco delle elezioni cipriote sono, curiosamente, proprio i ciprioti che in massa hanno preferito la spiaggia all’afa dei seggi elettorali: mai affluenza era stata così bassa prima d’ora. Eppure i risultati di quel voto, per il futuro dell’isola sulla scacchiera europea, sono tutto tranne che irrilevanti.

A partire dal risultato deludente dal partito del premier Disy, il conservatore Anastisiades che nonostante la recente uscita del paese dal programma di aiuti dell’Ue – ricorderete le drammatiche immagini “greche” di 3 anni fa, con la gente in fila ai bancomat che tentava invano di prelevare denaro – ha pagato care le politiche di austerità accolte senza fiatare dal suo esecutivo per obbedire alle richieste di Bruxelles. Non è andata meglio, anzi è andata decisamente peggio, all’opposizione di sinistra, Akel, un curioso partito comunista, affiliato con il Kke greco ma con, in passato, responsabilità di governo. La loro perdita è stata del 7% tutto a vantaggio di microformazioni, 5 in totale, che hanno superato il quorum del 3% frammentando molto il quadro politico. Tra questi sono entrati per la prima volta i neonazisti di Elam, il gemello cipriota di Alba Dorata, per anni niente più che un gruppetto di hooligans e fanatici nazionalisti greci, che ce l’hanno con gli immigrati, vorrebbero l’“Enosis” (in greco: unificazione) con Atene e, manco a dirlo, la cacciata dei turchi dal nord dell’isola.

E proprio a proposito del “Cyprob”, finché quelli di Elam si limitavano ad azioni di disturbo a ridosso della “Buffer Zone”, la zona smilitarizzata sotto controllo delle Nazioni Unite che spezza in due la capitale, tutto era derubricato a folklore (nonostante alcune aggressioni a danni di immigrati siano state fatte risalire a loro militanti). Ma ora che i negoziati per la riunificazione dell’isola, seconda questione legata alle elezioni, sono giunti ad un punto cruciale con la possibilità di un referendum – sperano leader delle comunità e negoziatori – addirittura entro l’anno, ci mancava solo che il gracchiare nazionalista anti-soluzione, arrivasse fino in Parlamento. Disy e Akel sono per un accordo con i turchi, la loro base un po’ meno; se si dovesse votare per il referendum, già respinto nel 2004 molti ritengono che il 56% che i due partiti hanno raccolto insieme, si sgonfierebbe ben al di sotto della maggioranza degli elettori.

Ma tornando all’Alba Dorata di Cipro: avrà pure superato il quorum grazie all’austerity e all’astensionismo eppure i segni della crisi, soprattutto nella capitale Nicosia, sono tanto evidenti da non lasciare spazio ad interpretazioni. E qui si apre la terza questione: negozi vuoti e cartelli affittasi ovunque ricordano da vicino la sorte toccata ai “cugini” greci solo pochi anni fa. Nonostante il collasso del sistema bancario nel 2013 sembri un incubo lontano e Cipro sia tecnicamente fuori dal piano europeo di aiuti, è innegabile che l’economia arranchi ed è concreto il rischio che i negoziati per la riunificazione, visti come una grande opportunità economica per entrambi i versanti, naufraghino per sempre.

Il voto cipriota di domenica, insomma, non avrà avuto la stessa importanza continentale di quello austriaco ma le questioni sollevate in questo lembo periferico dell’Unione non sono di minore rilevanza.

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