erdogan putin 675

“Tutti mentono!” era la filosofia un po’ sul boudoir che ispirava la serie televisiva del Dottor House. Però, come spesso accade quando sono in ballo i soggettisti di Hollywood (ossia i più formidabili analisti socio-politici del nostro tempo), risulta anche un modo pop per rappresentare l’essenza del potere: “Niente è come sembra”. Tanto che l’ermeneutica del sospetto pare l’unica sonda utile per penetrare quanto accade. E non c’è niente di meglio della cronaca più recente per averne conferma.

I turchi abbattono un aereo russo che per 17 secondi aveva sorvolato il loro spazio aereo, minando dalle fondamenta l’alleanza in costruzione di tutte le potenze mondiali contro il Califfato islamico? Un’azione apparentemente ingiustificata e inspiegabile, se non nella logica dei secondi fini. Ovviamente congetturali: la volontà di Erdogan di bloccare l’avvicinamento in corso tra Putin e l’Occidente per mantenere il ruolo di interlocutore privilegiato degli Usa nella regione.

Ma anche in questo caso con distinguo e tripli giochi, visto che gli americani apprezzano le milizie curde come fanteria su quel campo di battaglia, dove Obama non può/vuole mandare a morire soldati stelle-e-strisce, e Ankara paventa come rischio di un costituendo Kurdistan indipendente, nato da una spartizione federale della Siria. Fermo restando che pure il risiko siriano è contenzioso tra russi e americani (Assad sì, Assad no) mentre il trafelato Hollande fa la spola tra i presidenti delle due potenze promotrici di prospettive antagonistiche, avendo bisogno dell’appoggio di entrambi. Intanto Netanyahu – premier di uno Stato d’Israele che si presenta come avamposto avanzato dell’Occidente – fa partnership sottobanco con l’Arabia Saudita, che pure finanzia l’Isis, per scornare l’Iran, disponibile a collaborare nella liquidazione degli sciiti del Califfato.

Insomma, l’ennesimo teatro dell’assurdo, in cui nessuna dichiarazione corrisponde a verità. Mentre tutti i dichiaranti continuano a esporre ragioni per posizionarsi dalla parte dei buoni che contrastano i cattivi. Soltanto che la posizione “buona” è affollata di presenze che si rinfacciano reciprocamente la natura di “cattivi”. Forse aiuterebbe a capire la presa d’atto che il manicheismo da western di prima generazione non ha fondamento: qui tutti sono cattivi; chi più, chi meno.

Con questo si realizzerebbe il recupero di un atteggiamento mentale andato in disuso in tutti questi decenni, in cui la restaurazione mediatizzata proveniente dal mondo anglosassone (linea Thatcher-Reagan) ha sequestrato la democrazia e reso “embedded” l’intera opinione pubblica: il pensiero critico.

Si potrebbe registrare qualche barlume di resipiscenza nella discussione avviata dopo le recenti stragi in terra di Francia, dove per un istante siamo riusciti a liberarci delle chiacchiere mistificatorie delle guerre di religione e degli scontri di civiltà: come nel 2005 i casseurs della banlieue parigina, anche i nuovi attentatori si sono rivelati di “terza generazione” di immigrati, coinvolti nella criminalità di quartiere e reclutati come terroristi in prigione.

Balordi di borgata cui il jihadismo islamico fornisce soltanto un medium per dare cornici (per così dire) di coerenza a rabbie e frustrazioni. Sicché la carneficina di questo novembre è solo il risultato di clamorose falle in materia di ordine pubblico (e cortocircuiti nelle politiche di integrazione). Un’evidenza che deve essere rimossa per consentire a governanti incapaci di mettere in cantiere la sceneggiatura della lotta al terrorismo come una battaglia campale. Ripercorrendo i passi disastrosi di Bush jr.

Visto che ora l’epicentro della nuova iniziativa bellico-mediatica è francese, varrebbe la pena recuperare gli insegnamenti della sua migliore tradizione culturale. Dal fondatore della scuola storica degli Annales Marc Bloch, che ricostruiva l’uso dei simboli religiosi da parte dei monarchi medievali (il “tocco” dei re taumaturghi che guarisce dalle scrofole), alla celebre formula di Michel Foucault “Il Potere nei suoi discorsi di Verità, la Verità nelle sue pratiche di Potere”: il dominio che si giustifica costruendo realtà a proprio uso e consumo.

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