Rawti Shax, ovvero “ritorno alle montagne”. Era questo il nome evocativo dell’organizzazione diretta dal Mullah Krekar, alias di Najmuddin Faraj Ahmad July, leader e fondatore dell’organizzazione islamista curda Ansar al-Islam. L’immagine della catena montuosa del Kurdistan iracheno si sposava perfettamente con la localizzazione della cellula italiana, colpita oggi dall’indagine della Dda di Roma. Tra le montagne dell’Alto Adige agivano sei dei sedici terroristi legati a Daesh arrestati, militanti jihadisti pronti, secondo le indagini del Ros dei carabinieri, a colpire diplomatici e parlamentari norvegesi, come ritorsione per l’arresto del leader Krekar.

In un appartamento di Merano, raccontano fonti investigative, c’era una vera e propria centrale operativa, un appartamento dove avvenivano incontri, riunioni e lezioni di jihad. La figura centrale del gruppo presente in Alto Adige era Abdul Rahman Nauruz, vero e proprio reclutatore. Già nel 2010 i carabinieri trovarono nell’hard disk del suo computer, sequestrato nel suo appartamento di Merano, diversi video di Sure (insegnamenti coranici) del Mullah Krekar e le tracce di collegamenti protetti con la rete informatica riservata utilizzata dall’organizzazione. All’epoca il suo nome era emerso nel corso di un’inchiesta della magistratura tedesca, che aveva già dal 2003 puntato i riflettori sull’organizzazione Ansar al-Islam, guidata da Krekar.

Fin dal 2007 l’interesse di diversi corpi investigativi europei si concentrano sull’organizzazione dei curdi iracheni, che appare subito di un certo rilievo. Con le intercettazioni ambientali attivate nell’appartamento di Merano di Nauruz gli investigatori iniziano a ricostruire la cellula italiana, cresciuta tra Bolzano e Merano: qui passavano diversi stranieri, mentre molte telefonate rivelavano un giro di passaporti falsi iracheni, tanto da far ipotizzare l’utilizzo della base in Alto Adige per il reclutamento di militanti da inviare nell’area di conflitto oggi dominata da Daesh.

Gli incontri all’interno dell’appartamento di Bolzano servivano anche a formare futuri jihadisti. In una conversazione intercettata Nauroz commenta con un tale Hasan Saman – finito anche lui agli arresti – la foto di una donna, spiegando come “potrebbe essere usata anche per attentati suicidi”. Ancora più chiare sono le parole pronunciate da Hasan Saman in un’altra conversazione intercettata nella base a Merano: “E’ buono morire per Allah, qualsiasi cosa io faccia per Allah è come se non avessi fatto abbastanza”. E ancora: “Quando verrò ammazzato i miei figli saranno fieri (…), non avrò pace fino a che non ucciderò qualche ebreo – per poi aggiungere – sarà bello quando Mullah Omar verrà a trovarci tra le montagne”.

Parole registrate fin dal 2011, quando le cimici del Ros erano già attive da mesi. Un anno dopo vengono intercettate altre conversazioni ritenute estremamente importanti per confermare la radicalizzazione del gruppo. Il 18 luglio del 2012 nell’abitazione di Hasan Saman Jalal – sempre in Alto Adige – il Ros registra una lunghissima conversazione tra diversi membri del gruppo. In Bulgaria vi era appena stato un attentato contro un autobus di turisti israeliani, e la parole che si ascoltano sono agghiaccianti: “E’ una benedizione di Dio”. E sempre in quell’incontro i jihadisti commentarono gli scontri in Siria, che videro la morte del ministro della difesa Daoud Rajiha, mostrando come la guerra civile siriana fosse fin dall’inizio al centro dell’interesse dei gruppi radicali, anche se la saldatura con lo stato islamico avverrà solo due anni dopo.

Il gruppo jihadista di Merano faceva di tutto per evitare di attirare l’attenzione. Case modeste, lavori saltuari, spesso come ambulanti. Figure apparentemente anonime, ma pronte a cercare di ritagliarsi un ruolo da protagonisti all’interno della organizzazione guidata dal Mullah Krekar. Non gregari, ma veri e propri quadri di alto livello. A confermare il peso della cellula di Merano è l’arrivo di due curdi a Bolzano nel 2013, partiti dalla Svizzera per incontrare riservatamente il gruppo di Nauroz, con la missione di avvisarlo di un indagine europea in corso su di lui. L’organizzazione sapeva che quel gruppo arroccato tra le montagne dell’Alto Adige era un vero e proprio nodo strategico.

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