Invecchiamento attivo e no tax area pensionati – Sul fronte pensioni, tra le poche misure inserite e subito criticate dal presidente dell’Inps Tito Boeri, secondo il quale si tratta diinterventi selettivi e parziali che creano asimmetrie di trattamento e che daranno spinta a ulteriori misure parziali, tra l’altro molto costose”, ci sono la no tax area per i pensionati a reddito basso e il prepensionamento part time per gli over 63. In pratica i pensionati vedranno ridursi il prelievo fiscale, ma solo dal 2017 quando la no tax area, vale a dire la soglia di reddito entro la quale non si pagano più tasse, per gli over 75 salirà da 7.750 a 8.000 euro annui, sostanzialmente allo stesso livello dei lavoratori dipendenti. I pensionati con meno di 75 anni, invece, passeranno dagli attuali 7.500 euro a 7.750.  La manovra prevede, infatti, detrazioni diverse e scaglionate a seconda dell’età del pensionato (fino 75 anni d’età) e del reddito complessivo che non deve essere superiore a 15mila euro.

Poi c’è la possibilità per i lavoratori del settore privato che maturano entro il 31 dicembre 2018 il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, di optare per il part time negli ultimi anni lavorativi. Bypassando, così, gli attuali requisiti previsti dalla legge Fornero. Quindi, chi è a tre anni dalla pensione, può scegliere di lavorare meno (tra il 40 e il 60%). Sempre che l’azienda sia d’accordo, dal momento che, nonostante l’orario ridotto, il datore di lavoro dovrà comunque continuare a versare mensilmente i contributi previdenziali relativi sia alla parte di lavoro effettuato (destinati all’Inps) sia a quello non effettuato (destinati al dipendente che li riceverà in busta paga). Mentre i contributi relativi alla parte non effettuata saranno figurativi cioè a carico dell’Inps e quindi dello Stato. Il budget stanziato è di 60 milioni di euro per l’anno 2016, 120 milioni di euro per il 2017 e 60 milioni di euro per il 2018.

Rinviata al 2019 la rivalutazione piena delle pensioni – Dopo la sentenza della Consulta, che ha definito illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni deciso dal governo Monti, il tandem Renzi-Padoan è dovuto correre ai ripari con il rimborso del bonus Poletti, lo scorso agosto. Nonostante i ricorsi a Tar e Corte dei diritti dell’uomo contro la perequazione solo parziale, la manovra non prevede alcuna ulteriore integrazione. Anzi. Per risparmiare risorse con cui finanziare la conclusione  dell’Opzione donna ed estendere la no tax area, l’indicizzazione completa viene ulteriormente rimandata: tornerà in vigore non nel 2017, ma solo nel 2019. Nel 2017 e 2018 resta quindi confermata solo la rivalutazione piena degli assegni fino a 3 volte il minimo, mentre per quelli sopra tre volte e fino a quattro volte il minimo la percentuale sale al 95% dal 90% previsto ora. Chi riceve tra quattro e cinque volte il minimo vedrà però l’indicizzazione fermarsi al 75% contro il 90% attuale. E i pensionati con assegni tra cinque e sei volte il minimo se li vedranno rivalutare del 50% e non del 75%. Sopra le sei volte il minimo, infine, la percentuale cala al 45% contro il 75% previsto per il biennio 2014-2016.

Peraltro l’Opzione donna, cioè la possibilità per le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi versati di andare in pensione a 57 anni e tre mesi (se dipendenti) e a 58 anni (se autonome) a patto di accettare che l’assegno venga calcolato con il metodo contributivo, non viene prorogata al 2016 come auspicato. I fondi stanziati – 160 milioni per il 2016, 405 per il 2017 e 757 per il 2018 – serviranno solo per “portare a conclusione la sperimentazione” iniziata nel 2004. Quindi potranno sfruttare questa possibilità solo le lavoratrici che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015.

Esodati, dalle parole ai fatti c’è di mezzo il mare – Nei giorni scorsi le prime bozze del ddl Stabilità avevano provocato una levata di scudi perché all’appello mancavano le tutele per oltre 20mila esodati. E la versione definitiva del decreto conferma la “dimenticanza”, nonostante il governo a più riprese avesse assicurato che la tutela di questi cittadini era una priorità: la legge di Stabilità limita a soli 26.300 lavoratori la cosiddetta settma salvaguardia, l’ennesima toppa sul buco aperto dalla riforma Fornero. Secondo i dati ufficiali forniti dall’Inps, gli esodati da salvaguardare sono 49.500: dunque all’appello mancano ben 23.200 lavoratori. I comitati dei lavoratori avevano preannunciato battaglia: “Gli eso­dati da sal­va­guar­dare sono 49.500, il governo deve man­te­nere i suoi impe­gni e rista­bi­lire e rispet­tare il patto che i cit­ta­dini ita­liani hanno sot­to­scritto con lo Stato. Non si pos­sono con­dan­nare 23.200 fami­glie ita­liane a ulte­riori mesi di ansia ed incer­tezza alla quale si deve dire basta”. La mobilitazione quindi è destinata a prendere corpo da subito per indurre il Parlamento ad intervenire. Oltretutto i soldi per salvaguardare questi lavoratori sarebbero già nelle casse dell’Inps: “Nel Fondo eso­dati ci sono 11,6 miliardi di euro desti­nati solo alle sal­va­guar­die – aveva sottolineato pochi giorni fa l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano – ed è stato proprio l’Inps a comu­ni­carci che, rispetto alla prima tran­che di 6 miliardi di euro, ne sono stati rispar­miati addi­rit­tura 3,3”. Dunque i fondi per tutelare tutti ci sarebbero: perché il governo ha limitato la salvaguardia a soli 26.300 lavoratori?

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