La polizia è da sempre uno straordinario indicatore per capire quanto un’azione disturbi gli interessi dei “forti”: basta guardare alla rapidità e durezza del loro intervento. Nel caso dell’occupazione simbolica dell’area dei gasometri di Torino, destinata alla costruzione di residenze universitarie private, l’indicatore è schizzato a fondo scala: sgombero rapidissimo (a meno di tre ore dall’occupazione), nel corso del quale studentesse e studenti assolutamente inermi sono stati strattonati, trascinati e presi a calci. Vale la pena capire qual è il nervo scoperto toccato da questa azione dimostrativa anche perché la questione non riguarda solo Torino, ma tutte le città universitarie italiane: è la speculazione edilizia travestita da diritto allo studio.

Lo schema base è il medesimo adottato in molti altri settori, dai trasporti alla sanità: a suon di tagli assassini e malagestione si fa tracollare il servizio pubblico e si crea così un mercato per l’intervento privato, peraltro sovvenzionato lautamente dalle casse statali per garantirne i profitti. Sono stati gli stessi studenti a investigare e spiegare per filo e per segno come funziona questo meccanismo nel caso torinese: un insieme di progetti in due tranche che interessa ben 14 aree della città, il cui minimo comune denominatore è la realizzazione di residenze e servizi per gli studenti universitari.

Perché mai degli studenti dovrebbero protestare contro residenze e servizi? Proviamo a vedere come funziona il modello di queste residenze. Il Campus Sanpaolo, appena entrato in attività, è stato realizzato su un’area comunale offerta in concessione per 99 anni ad un fondo immobiliare gestito dal Gruppo Caltagirone e da Banca Monte Paschi e sottoscritto dal Fondo Erasmo, che attualmente finanzia un piano triennale da 160 milioni di euro di interventi nelle principali città universitarie italiane. Il 40% del Fondo Erasmo proviene dal Fondo Aristotele, una cassaforte da 675 milioni di euro provenienti dalle casse dell’Inps; il restante 60% dal Fondo Investimenti per l’Abitare: 2 miliardi di euro, oltre la metà dei quali provenienti dallo Stato e il resto da banche, assicurazioni e previdenza privata. In poche parole, la classica commistione tra pubblico e privato che spesso è il marchio di fabbrica dei peggiori intrallazzi. Il campus viene infine gestito da un’altra società privata, che deve rispettare i parametri fissati da una convenzione con il Comune per regolare le tariffe massime dei posti letto.

Piccolo particolare: le tariffe sono astronomiche (350 euro/mese per un posto in camera doppia e cucina al piano) rispetto agli affitti del mercato torinese, attualmente non stratosferici grazie alla presenza di studentati pubblici. Ma se aumentasse la domanda, gli affitti aumenterebbero rendendole così concorrenziali…e, guarda caso, è proprio quello che sta succedendo. A causa del nuovo sistema di calcolo dell’Isee e ai consueti tagli ai fondi, migliaia di studenti stanno perdendo i requisiti per un posto in residenza pubblica, facendo rimbalzare il mercato privato a discapito delle famiglie che se lo possono permettere: molti altri invece torneranno o resteranno a casa. E se il business, nonostante tutto, non funzionasse? Niente paura, gran parte dei soldi sono pubblici…e i costruttori hanno già incassato i soldi. I profitti sono per i soliti pochi, ma di perdite ce n’è per tutti!

Ma la questione è ancora più ampia: nelle varie aree individuate dal Comune, a fianco delle residenze e dei servizi universitari (anch’essi a pagamento), è prevista la concessione di permessi anche per edilizia residenziale e/o commerciale in aree che erano vincolate a servizi pubblici. Il tutto fa da volano ad processi di gentrificazione che fanno salire il valore delle case e i costi dell’abitare a discapito di inquilini e meno abbienti, spremuti ed espulsi. A dirigere il piano è l’assessore Pd all’Urbanistica Stefano Lo Russo, al contempo professore al Politecnico di Torino. I trenta denari di questo accordo sono rappresentati, per il Comune, dagli oneri di urbanizzazione, che finiscono peraltro inghiottiti nel maelstrom del megadebito in stile greco contratto da Torino ai tempi del banchetto delle Olimpiadi 2006: una voragine incolmabile che serve ormai da anni (e per sempre) da giustificativo per ogni sorta di privatizzazione ed esternalizzazione di servizi.

Insomma, dietro il pretesto del “social housing” e del diritto allo studio si muovono interessi enormi, e la reazione rapidissima e scomposta delle forze dell’ordine all’occupazione di uno dei siti interessati ne è una conferma. Ora il seme è stato gettato: l’auspicio è che gli studenti non vengano lasciati da soli ad annaffiarlo, che gli abitanti dei quartieri interessati dalle speculazioni prendano coscienza del problema e si organizzino, e che negli atenei (torinesi, ma non solo) i docenti comincino ad interrogarsi, ad interrogare e a disvelare pubblicamente l’uso strumentale delle università per coprire operazioni che beneficiano solo chi continua imperterrito ad accumulare denaro e potere.

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