Con l’arrivo dei cinesi in Pirelli, per Grandi Stazioni “i contratti e le regole non cambiano”. A garantirlo, all’indomani del patto di ferro stretto tra Marco Tronchetti Provera e il ChemChina per il controllo della Bicocca, è stato l’amministratore delegato delle Ferrovie Michele Elia che è anche presidente della società che gestisce la riqualificazione e la messa a reddito delle stazioni italiane da un punto di vista immobiliare. Per l’azienda controllata da Fs (60%) e da alcuni investitori privati tra i quali anche Pirelli con il 13,08%, quindi, l’arrivo dei cinesi non cambia le carte in tavola. “Le società sono qui, il know-how è italiano e gli interlocutori restano gli stessi. L’importante è che resti tutto italiano”, ha rafforzato il concetto Elia.

Silenzio, invece, dagli altri soci di Pirelli che conta un nutrito gruppo di partecipazioni che spaziano dai trasporti alle banche, al mattone e all’editoria. Sulle cui sorti in seguito al cambio in testa all’azionariato degli pneumatici, non è ancora stata spesa una parola. Eppure il portafoglio è tutt’altro che anonimo e sconosciuto ai più. Andando in ordine alfabetico si inizia con l’Alitalia di cui Pirelli è stata compagna di sventura dopo aver aderito al piano Fenice elaborato da Corrado Passera ai tempi di Banca Intesa e della quale, dopo il passaggio nelle mani degli arabi di Etihad, ha ancora l’1,43 per cento. Segue il conteso e sofferente Corriere della Sera, che è stato anche il primo a dare la notizia dell’arrivo della bandiera cinese alla Bicocca e della cui editrice, Rcs, Pirelli possiede attualmente il 4,43 per cento. Difficile sapere che ne sarà, ma con i comunisti non si sa mai. Basta vedere com’è andata con la Unipol delle coop che, una volta ereditata dai Ligresti la quota nel quotidiano del fu salotto buono, non se n’è più voluta separare. Anzi, l’ha pure rifinanziato. A proposito di salotti e affini, non si può non citare Mediobanca, della quale Tronchetti Provera è vicepresidente in virtù dell’1,82% intestato alla Bicocca che va sommato a un pugno di azioni custodite nella Fin.Priv, società che riunisce lo zoccolo duro dei soci italiani di Piazzetta Cuccia. Molti dei quali si ritrovano anche nel capitale dell’Istituto europeo di oncologia fondato da Umberto Veronesi che vede Pirelli al 6,06 per cento.

Ma il pezzo in assoluto più controverso del gruppo di pneumatici è la partecipazione in Prelios (29,19%). Il gruppo immobiliare vanta proprietà di pregio come la sede di Fintecna nel cuore della dolce vita romana in via Vittorio Veneto. Ciononostante l’ex Pirelli re, che fu tra le cause dello strappo con Malacalza nel 2012, è da tempo una spina nel fianco di Tronchetti e soprattutto delle sue banche creditrici. A partire da Unicredit e Intesa, che qui come in Pirelli (e del resto in molti altri tavoli) giocano il duplice ruolo di azionisti e creditori, dopo aver soccorso il gruppo che a fine 2014 aveva 187 milioni di debiti e ha registrato perdite per oltre un terzo del capitale, riproponendo ai soci il problema dell’iniezione di risorse fresche. E questo nonostante l’ultimo apporto di capitali risalga all’estate del 2013 nell’ambito di un piano che era stato denominato Fenice, proprio come quello di Alitalia, in barba alla scaramanzia. Ma la fortuna aiuta gli audaci, sarà forse per questo che Unicredit, che ha appena ceduto alla cordata Fortress-Prelios ben 2,4 miliardi di crediti in sofferenza, secondo le indiscrezioni dei giorni scorsi è pronta a ritentare la sorte su Pirelli insieme agli americani di JP Morgan, puntando però sul nuovo socio cinese al quale servono 7,5 miliardi per rilevare la maggioranza della Bicocca.

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