In quiete o inquieto, guardando dentro me stesso, a volte, è come se tutta questa differenza non ci fosse. Non la sento, ad esempio, quando sono di fronte alla poesia e mi sembra che le parole riescano ad assorbire di me quanto non riesco ad esprimere e a restituirmi il tutto come un pugno che mi rinvigorisce il malessere, ma che è in grado di dargli il contenimento di cui necessita.
Ognuno di noi deve fare i conti con la sua bestia, con quella parte nera di sé che ha radici nell’animo, gli artisti lo sanno meglio degli altri cosa questo significhi perché trasformano la bestia in arte e le danno una pace temporanea attraverso la catarsi della creazione.

“parlo dal male che ho
dal mondo di sotto e dal pianto
che mi si fa nel corpo fracassato
parlo dalla nebbia dalla ferita
dall’inquietudine della bestia
da questa bocca fessura di carne
stagionata umida vuota”

ilaria_drago-di-marco-onofrioE’ una delle poesie presenti nella raccolta L’inquietudine della bestia di Ilaria Drago, attrice, autrice e regista della sua omonima compagnia in attività dal 1995. Avevo già avuto modo di leggere la poesia di Ilaria attraverso la prosa del suo romanzo Dalla pelle al cielo: sì, proprio la prosa, perché la poesia non si lascia incastrare e le parole non si fanno imbrigliare quando il loro intento è far vivere e far sentire senza mediazione.
A volte la bellezza prende la forma delle parole e leggere non è atto, ma incanto, l’interiore si tramuta. Questa raccolta di versi ha il pregio di non poter che essere letta per potere essere apprezzata. Parole per descrivere altre parole non possono che invitare ad andare direttamente alla fonte.
La poesia dice quello che non può essere detto altrimenti, rompe le convenzioni linguistiche comuni che sortiscono l’effetto di catene per le emozioni quando scendono nell’abisso e toccano le nostre profondità. L’indicibile può essere detto e l’inquietudine della bestia, per un lungo attimo almeno, trova quiete.
La poesia è come la furia di una carezza, violenza nella dolcezza, sovvertimento dell’essenza.

“(Ho) Pianto un fiore
per ogni parola
che mi è venuta a mancare.
Ho un bellissimo giardino.”

Invece l’autore di questo piccolo componimento sono io, i versi  non solo si leggono, ma si vivono e le parole che curano sono principalmente quelle che siamo in grado di restituire con coraggio a noi stessi.

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