Quando andavo a Roma verso la fine degli anni Settanta (sicuramente dopo il 1977, perché ricordo una scritta su un muro lì vicino: “Kossino Assassiga”, variante beffarda del più esplicito “Cossiga assassino”), cenavo spesso dalle parti di Campo dei Fiori che allora era una zona popolare e le trattorie molto economiche. Una in particolare, gestita da una corpulenta signora molto sbrigativa ma gentile. Una sera con alcuni amici avevamo deciso di ordinare degli involtini. Credo fossero il piatto più appetibile sul menu recitato rigorosamente a voce ma a prezzo fisso. Qualcuno dei miei amici chiese come fossero fatti. Risposta dell’ostessa: “So’ bboni”. Un altro tentò di ripetere la domanda ottenendo invariabilmente la stessa risposta: “Bboni, so’ bboni”. La signora se ne andò spazientita e arrivarono gli involtini. Confesso che non riuscimmo a capire con cosa fossero fatti. E non erano neppure buoni.

Questa scenetta, che sa di una farsa di Fabrizi o una commedia di Sordi, mi è tornata in mente nei giorni scorsi durante la discussione nelle commissioni Difesa di quella che viene enfaticamente definita “legge navale”. Si tratta di un provvedimento che consentirà alla Marina di comperare parecchie navi per la modica cifra di 5,8 miliardi di euro. Soldi che, secondo una ormai consueta abitudine, non verranno però caricati sul bilancio del ministero pinottiano ma su quello dello sviluppo economico. Grandezza dell’italica ipocrisia che con questi trucchetti delle tre carte da vent’anni ci racconta che il Vaticano spende per la sua Pontificia Cohors Helvetica meno di quanto paghi l’Italia per l’Esercito. La stessa ipocrisia per cui le nostre guerre sono missioni di pace e i soldati in ristrutturano orfanotrofi in Afghanistan, asfaltano strade a Gibuti e regalano quaderni ai bambini libanesi.

Ma, a parte i soldi, che pure non sono uno scherzo, il punto vero di questa sedicente legge navale è un altro. Stando alle carte e alle dichiarazioni di ministri e capi di stato maggiore le navi che compreremo avranno due qualità maggiche, per dirla con l’ostessa di Campo dei Fiori: serviranno a sostituire ben 51 navi destinate al rottamatore e, udisci udisci o popolo beota, serviranno soprattutto per la protezione civile, per curare i bambini dei naufraghi, soccorrere i migranti sorpresi dalle procelle, estirpare la cecità dalle popolazioni africane, assistere le partorienti con le doglie. Per i miracoli non sarebbero al momento attrezzate ma solo perché, si dice, l’attuale capo della Marina militare sarebbe un agnostico. Che poi, casualmente, abbiano a bordo sistemi antimissile balistici, cannoni capaci di tirare a 80 km di distanza , missili antinave, eccetera è un dettaglio, un incidente della Storia. Sapete, i pirati somali non hanno rispetto per la vita umana e violentano persino le suore. Meglio essere pronti.

Cominciamo dalle 51 navi destinate al cannello ossidrico (alla canna ci siamo già, tutti noi). Occhio, cinquantuno, non cinquanta: un numero tondo è sospetto, denota approssimazione e una impropria tendenza all’arrotondamento. Oggi, novembre 2014, la flotta italiana è composta da 54 navi sopra le mille tonnellate. Ci sono poi 12 cacciamine da 500 tonnelate e 4 navi da 200 che fanno pattugliamento per conto dell’Onu in Mar Rosso. Delle 54 unità, quelle che raggiungeranno il limite di vita utile entro una decina d’anni sono una trentina, ad essere larghi. Ma ci sono anche due fregate e due sommergibili in costruzione, e due altre fregate classe Fremm andranno sullo scalo l’anno prossimo. Unità, queste ultime, non finanziate con la nuova legge, ma già pagate con i soldi dei bilanci ordinari. Per cui, il saldo netto è di 24. Numero alquanto lontano da cinquantuno.

Come si raggiunga questo immaginifico numero, non si sa. Forse De Giorgi applica alla Marina il metodo Forcieri, il sottosegretario che nel 2009 annunciò urbi et orbi che 130 F-35 avrebbero sostituito 256 altri aerei e come effetto secondario avrebbero creato diecimila posti di lavoro. Nemmeno Renzi e e la sua algida ministra dello sviluppo economico avrebbero osato tanto.

Ma come faranno i marinai a far tornare i conti? Non tornano, semplicemente, anche se nelle navi da sostituire ci infilano, ad esempio, quattro fregate classe Lupo che sono state radiate attorno al 2000 e vendute al Perù nel 2003 (sarebbero 11 anni fa, se l’opinione non è una matematica, come diceva un mio professore). Me lo sono inventato? No, carta cantante: sta scritto in una nota a pie’ pagina del documento mandato al Parlamento per aver il via libera al mega programma navale. Senza dire, comunque, che seguendo la tradizione mussoliniana dei carri armati spostati in continuazione per farli sembrare più di quanti non fossero, queste stesse Lupo sono già state sostituite dalle fregate Fremm. Il programma del 2001 per dieci fregate giustificava tale numero con la necessità di rimpiazzare 8 Maestrale e 4 Lupo, appunto, con un saldo netto negativo di due. Come vedete, non abbiamo a che fare con grigi burocrati ma con l’immaginazione stessa al potere di marcusiana memoria (avvisate la Cia, c’è un marxista a capo della Marina italiana).

Ora, oltre agli ectoplasmi delle Lupo, De Giorgi vuole rimpiazzare anche corvette e pattugliatori, cioè navi che dislocano tra le 1200 e le 1500 tonnellate. Con che cosa? Con una decina di navi chiamate Ppa (pattugliatori polivalenti d’altura) che dovrebbero invece dislocare attorno alle 4500-5000 tonnellate. Cinquemila? Proprio cinquemila, cento più, cento meno. Cioè tre, quattro volte più grandi delle sostituende. Così c’è scritto nel programma della Marina, anche se in realtà le navi potrebbero non essere dieci, ma sedici, come rivela in un’intervista alla rivista specializzata Rid l’ammiraglio Matteo (un altro?) Bisceglia, capo delle costruzioni navali alla Difesa, uno cioè che dovrebbe sapere di che cosa parla.

In pratica, con questo tonnellaggio i Ppa sarebbero vere e proprie fregate, non pattugliatori. Lana caprina? Mica tanto. Le nuove Pppa potrebbero costare tra i 400 e i 500 milioni l’una, più o meno lo stesso prezzo delle Fremm. Con che risultato? Avremmo tra pochi anni la più grande Marina europea. Non ci credete? La Marine Nationale, francese, ha 13 fregate e 2 cacciatorpediniere. Totale: 15 unità di questa categoria. La Deutsche Marine ha 11 fregate tra le 3600 e le 5600 tonnellate. Gli inglesi, che definivano la loro flotta the wooden walls of Old England (le mura di legno della Vecchia Inghilterra), si accontentano di 13 fregate e 6 cacciatorpediniere. In totale: 19. E noi, les italiens? Da 22 a 28 unità maggiori a seconda che i Ppa siano dieci o sedici: 10 Fremm, 2 cacciatorpediniere classe Orizzonte, da 10 a 16 “pattugliatori”. D’altronde lo si sa, Italians Do It Better. È vero, gli Stati maggiori parlano di Mediterraneo allargato. Ma mi sa che stavolta si sono allargati un po’ troppo.

Non è finito. Nel piano del nostro ammiraglio c’è anche una nave da sbarco di circa 24 mila tonnellate. Va bene, sono anni che se ne parla. E allora? E allora c’è che, sempre secondo Rid, dovrebbe essere armata anche di un sistema antimissile balistico. Incredibile: neppure gli americani hanno sistemi antimissile sulle navi anfibie. Va bene che noi siamo creativi (l’imagination au pouvoir, ricordate?) tanto che nel 1962 abbiamo messo quattro tubi lanciamissili strategici Polaris a bordo dell’incrociatore Garibaldi anche se non li avevamo e gli americani non ce li avrebbero mai dati. Ma qui siamo decisamente un po’ troppo fuori. Soprattutto per fare, come sostiene De Giorgi, interventi umanitari. Chissà, potrebbero servire per abbattere le mosche tsè-tsè che insidiano gli orfani del Gambia.

Per tornare all’ostessa di campo dei Fiori e ai suoi involtini, la cosa più divertente (si fa per dire) è che De Giorgi, con l’acquiescenza dei parlamentari che si sono finora bevuti tutte le sue storielle buoniste, è riuscito a vendere oltre cinque miliardi di navi militari dicendo che servono per fare tante cose, ma non l’unica per cui saranno costruite: la guerra. Ammiraglio come sono le navi? “So’ bbone”. Ma hanno armi? “So’ bbone, fijo mio, so’ bbone”.

P.S. Ho trovato in rete nei giorni scorsi questa foto che non conoscevo dove si vede il De Giorgi impegnato in una difficile attività operativa sull’ala di plancia di una nave militare. La foto è precedente alla sua nomina a Capo di Stato maggiore come si evince chiaramente dalle sole tre strisce del grado (adesso ne ha una quarta, bordata di rosso), ma merita certamente di essere vista. L’ammiraglio stringe tra le dita una pericolosissima flûte di vino con le bollicine (champagne? spumantino?), mentre due evidentemente trepidanti marinai, travestiti da camerieri con giacche rigorosamente bianche, porgono l’uno salatini, l’altra probabilmente pizzette. L’unico conforto per il lupo di mare durante le difficili ore passate tra i flutti a salvare vite umane. Mi piacerebbe sapere chi l’ha pubblicata. Certo un marinaio incazzato, considerando il punto di vista.

de giorgi

Articolo Precedente

Derivati: le banche li sottoscrivono e i contribuenti pagano il conto

next
Articolo Successivo

Salute: il grande affare

next