sergio cofferatiAll’inizio del 2002 incontrai Sergio Cofferati, Segretario Generale della Cgil, nel suo ufficio romano di corso Italia. Mentre gli parlavo, notai sulla scrivania un libro aperto, in apparenza oggetto di una lettura appena interrotta. Quando “il cinese” si allontanò temporaneamente dalla stanza, non seppi resistere alla curiosità. Sicché, rovesciato il verso del volume, lessi il titolo: si trattava niente meno che del “Discorso sul metodo” di Cartesio.

Poi scesi a salutare l’amico sindacalista che mi aveva combinato il colloquio. «Come ti è sembrato?». Gli risposi che ero rimasto colpito, soprattutto per l’insospettata preferenza cartesiana in materia di letture. «Non ti fare impressionare, lo tiene lì per fare scena con quelli come te. Ma lui preferisce Tex Willer…».

Qualche tempo dopo – era il 23 marzo – Cofferati riunì al Circo Massimo ben tre milioni di manifestanti contro le velleità liquidatorie dei diritti del lavoro (simbolizzati nell’art. 18) da parte del tandem Silvio Berlusconi e il presidente di Confindustria Antonio d’Amato. In quel momento sembrò che fosse apparso sulla scena il vero leader di una sinistra-sinistra, contrapposta a inciucisti e blairiani in sedicesimo. Un patrimonio rapidamente dissipato. Non si è mai capito bene perché. Comunque l’ormai sindacalista in pensione rinunciava a ogni velleità rifondativa per imboscarsi nel 2004 come Primo Cittadino a Bologna.

Quella città di altissime tradizioni democratiche, che neppure il vulnus di un sindaco di destra come Giorgio Guazzaloca aveva potuto intaccare; la città di grandi innovazioni civili, il laboratorio dei Campos Venuti, che gli urbanisti e i sociologi urbani di mezza Europa consideravano modello e punto di riferimento da decenni. Una città massacrata dal passaggio cofferatiano che, ignorando lo spirito del luogo chiamato ad amministrare, andava baloccandosi con devastanti effetti d’annuncio per un’ipotetica Maggioranza Silenziosa (non certo l’elettorato felsineo). E mentre si gioca al sindaco sceriffo, quello che desertifica l’antica tradizione della movida studentesca e arriva al punto di far sequestrare dalla forza pubblica le statuette di cioccolato rappresentanti Rocco Siffredi (sanzionando il pasticcere per “offesa al pubblico pudore”), Bologna perde per la prima volta il treno con le tematiche dell’innovazione amministrativa: gli esperimenti di rinnovamento competitivo attraverso Piani Strategici che accompagnino la definizione di nuove specializzazioni di territorio (le tecniche di animazione democratica per lo sviluppo locale, applicate a Barcellona come Lione o Stoccarda). Un disastro. Tanto da sconsigliare una ricandidatura e suggerire una rapida migrazione verso altri lidi. Niente di meglio che andare a svernare in quel di Genova e poi pensionarsi a Strasburgo, nel ben remunerato Parlamento europeo. Dove Cofferati può confermare la sua abituale ‘disinformazione’ rispetto ai territori che sarebbe chiamato a rappresentare. Difatti, in una regione a prevalente interesse marittimo non si hanno notizie di sue iniziative di contrasto delle lobby portuali atlantiche per promuovere politiche mediterranee.

Grazie a queste benemerenze oggi il Pd ligure, in preda a una transizione dal venticinquennio burlandiano che potrebbe comportare la liquidazione dell’intero establishment, si propone di candidare Cofferati a nuovo governatore della Regione. Perfetta foglia di fico, anche per la sua totale estraneità alle problematiche locali, subito caldeggiata da un sistema mediatico locale intimamente embedded.

A fronte di manovre che vorrebbero perpetuare la presa della corporazione di partito sulla società locale, qualcuno inizia a domandarsi se non sarebbe meglio saltare le generazioni rivelatesi inette (o peggio), per rivolgersi a quella dei “nuovi liguri”. I ragazzi e le ragazze che, magari impegnandosi generosamente a spalare fango, dimostrano ben maggiore senso civico di chi li ha preceduti.

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