A definirlo “Europe’s recurring malaise” (ricorrente malessere europeo) sono stati i redattori centrali del New York Times un paio di giorni fa. E già fin dall’inizio dell’articolo spiegano in sintesi il perché di un giudizio così negativo, anche se precisano subito che (il malessere) era perfettamente prevedibile, dato che da una simile fuorviante politica economica, testardamente perseguita nonostante le evidenze che era la medicina sbagliata, non ci si poteva aspettare altro che questo risultato.

A dire il vero ce ne eravamo già accorti anche noi, da un pezzo, di questa incredibile incongruenza, anche se, almeno per ciò che appare nell’articolo del Nyt, non emergono con sufficiente evidenza alcune specificità e limiti del sistema comunitario europeo rispetto a quello americano e delle altre grandi economie globali.

Per esempio: la pretesa di fingersi una federazione senza esserlo e l’ambizione di dotarsi di una moneta unica governata centralmente senza avere creato un reale aggancio alle economie rappresentate.

Questi però sono solo i “peccati originali” della Comunità Europea e per una decina d’anni quasi nessuno se ne era accorto. Quello che è del tutto incredibile (non solo secondo il Nyt ovviamente) è l’improvvida e assurda scelta di imporre per anni una politica di austerità a tutta l’Europa ben sapendo (impossibile che non lo sappiano!) che l’austerità in tempo di crisi peggiora la crisi stessa. Eppure lo hanno fatto e continuano a volerlo fare.

Allora diventa impossibile anche evitare di pensare che tutto questo (cioè la sofferenza di milioni di persone!) sia qualcosa che è perfettamente voluto. Il Nyt lo mette in chiara evidenza: a fronte di una ripresa degli Stati Uniti, la cui economia è ora in crescita di circa il 4%, l’Europa scivola ancora più in basso, la crescita è ormai sostanzialmente a zero!

Nemmeno la cosiddetta “locomotiva” tedesca si salva più ormai.  All’inizio dell’anno le solite fanfare “sparavano” ottimistiche dichiarazioni di crescita all’1 – 2 %, ma solo gli sprovveduti e i non addetti ai lavori ci potevano credere. Con una economia bloccata da oltre due anni di austerity, un livello di disoccupazione altissimo, l’impossibilità di attuare politiche monetarie autonome, le banche sostenute ferreamente, ma anch’esse in sofferenza sia per errori gestionale propri che per una malintesa necessità di ricapitalizzazione imposta centralmente e avviata nel momento più sbagliato possibile, chi seriamente poteva davvero pensare che ci sarebbe stata una ripresa economica in Europa nel 2014?

Frottole per tener buona la gente. Il voto degli sprovveduti vale quanto quello di quelli che si impegnano a capire e loro (quelli che gestiscono il potere nei paesi a regime capitalista) possono contare su un sistema della “libera informazione” molto sbilanciato a loro favore. Altro che ripresa economica! Su questa strada l’Europa è avviata dritta dritta alla stagnazione e ad una lunga depressione economica.

Quelli che stanno nella “stanza dei bottoni” del Consiglio Europeo questo lo sanno benissimo, eppure continuano a sventolare le magiche “riforme strutturali” come se fossero la panacea di tutti i mali. Certamente alcune riforme strutturali potrebbero far bene all’economia e al paese, ma bisognerebbe scegliere con accortezza quelle veramente urgenti e necessarie al rilancio dell’economia non quelle che servono solo a rafforzare la partitocrazia e a smantellare il “welfare state“.

Nel 2008, negli Stati Uniti già in recessione, ma non ancora passati attraverso il tremendo crollo di borsa del mese di settembre (con il fallimento della Lehman Brothers), al fine di sostenere i consumi e la liquidità è stata disposta (con decisione bipartisan) dal Congresso e immediatamente firmata dal presidente Bush, la distribuzione a “pioggia” a tutta la popolazione (con pochi limiti) di una somma variabile dai 700 ai 1400 dollari a testa (o più in alcuni casi). Il costo complessivo è stato di circa 150 miliardi di dollari. Poi è arrivato a fine 2008 e 2009 il sostegno alle banche (circa 850 miliardi). Quindi ancora i ben noti “Quantitative Easing“, cioè l’acquisto di obbligazioni e titoli similari, al ritmo mensile fino a 50 miliardi di dollari (tuttora in essere, anche se per quantità ridotte).

L’Europa, quando è arrivato il suo turno di sostenere l’economia e i consumi ha fatto esattamente l’opposto, ovvero ha tagliato il credito e ha aumentato le tasse. Però continuano a propinarci la solita favola della crescita e dei necessari sacrifici. Eppure sono proprio gli americani del New York Times a tirar le orecchie a Draghi e a dirgli che non fa abbastanza per sostenere la ripresa economica.

Chi o cosa glielo impedisce? Ormai l’Europa è in piena deflazione, perciò la scusa della paura di causare inflazione non regge più. E il governo Renzi con la sua maggioranza che lo sostiene in Parlamento, fanno qualcosa almeno loro? Sì: fanno le riforme strutturali! (dicono). Quali? La fine del bicameralismo perfetto, la nuova legge elettorale “Italicum” (primo firmatario: Calderoli, già padre del porcellum), il decreto svuota-carceri, l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori? ecc…

E queste sarebbero le riforme che dovrebbero far ripartire l’economia? Ma non fateci ridere per piacere! Diteci invece chiaramente chi c’è dietro a tutta questa manfrina e qual è il vero scopo. Se è l’Europa a “dircelo”, meglio abbandonare la nave finché siamo in tempo, altri 4 anni così e non troveremo più nemmeno il Colosseo.

So bene che non sarebbe una passeggiata. Sarebbe come entrare in guerra, anzi, siamo già in guerra (in questo caso economicamente) e se ti invadono la guerra non la puoi evitare. Peraltro potrebbe essere proprio l’unico modo ormai per liberarsi dai troppi parassiti e dal marciume asociale che ha invaso le nostre istituzioni.

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