Matteo Renzi ha avuto due grandi scuole. Già li sento, i lettori, scandire in coro: una sola, quella di Arcore! Ma non mi piace unirmi ai cori, e poi, forse, le cose sono un più complicate.

La prima scuola di Renzi è stata sicuramente la Grande Chiesa: quella di Jovanotti, beninteso, ma con poco Che Guevara e molta Madre Teresa. Cose anche nobili, gli scout, le parrocchie, l’associazionismo cattolico…Ma la cosa più cattolica di tutte, purtroppo, resta il cardinalizio #staisereno twittato a Enrico Letta. Su questo, temo abbia ragione il mio amico Pellizzetti: il Pd è l’unico partito al mondo in cui una maggioranza di sinistra è riuscita a farsi colonizzare da una minoranza cattolica.

La seconda scuola di Renzi, appunto, è stata il Pd, di cui sta reinterpretando creativamente la tradizionale sudditanza nei confronti di Berlusconi. Pensate alla sua risposta, di Renzi, dico, al mezzo ultimatum del suo mezzo interlocutore, Renato Brunetta: o subito la riforma elettorale o salta tutto. Il nostro non ha fatto una piega, ha visto il bluff e ha rispolverato la strategia andreottiana dei due forni: se non volete fare le riforme con me, ha risposto, io le farò con la sinistra (o come la vogliamo chiamare). Berlusconi, che ha altro a cui pensare, ha abbozzato.

E la sinistra (o come la vogliamo chiamare)? Si è ritrovata di fronte al problema che avrà sempre, d’ora in poi, finché durerà il renzismo: salire sul carro del vincitore? In politica, è quasi un riflesso condizionato, che non richiede neppure particolari opportunismi. Siamo messi talmente male, oltretutto, che gli alibi davvero non mancano: difendere la Costituzione, ottenere una legge elettorale meno punitiva per le opposizioni e lavoro meno precario per i nostri figli. Ma Matteo preferisce tirare dritto, da rullo compressore, come se tutto questo fosse meno importante della sua campagna elettorale permanente. E allora finirà che, per chi ci sta – da Pizzarotti alla sinistra Pd, sino alla galassia Tsipras – presto resterà una sola alternativa: scendere, tutti insieme, dal carro del vincitore.  

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