Quando la  violenza irrompe devastante nelle relazioni di intimità, quando si consuma con gesti estremi nelle famiglie,  bambini o adolescenti  sono i testimoni che sopravvivvono, sradicati dagli affetti più profondi, quando cala il buio sulle loro vite. Nel caso di femminicidio, otto volte su dieci, l’autore del delitto è il loro padre che si suicida o finisce in carcere per molti anni. I figli e le figlie restano soli, che cosa ne è di loro e delle loro esistenze, che cosa avviene il giorno dopo?

In dodici anni sono stati circa 1500 i minori sopravvissuti alla morte della madre per femminicidio. Le conseguenze del dolore associato alla perdita di entrambi i genitori in circostanze  tragiche e violente, l’incertezza rispetto al futuro, la gestione di terribili conflitti interiori come l’amore per il padre e l’orrore per il gesto che ha compiuto, espongono gli orfani a disturbi cronici da stress post traumatico: depressione, abuso di sostanze, devianza sociale  e suicidio.

Da alcuni mesi, il Dipartimento di psicologia della Seconda Università di Napoli con la collaborazione dei centri antiviolenza D.i.Re,  sta realizzando il progetto Switch-Off  , (Supporting WITness Children Orphans From Feminicide in Europe) un progetto internazionale che coinvolge altri Stati come Cipro e Lituania con  lo scopo di contattare coloro che da bambini o adolescenti vissero questa esperienza tragica. Raccogliendo le loro testimonianze, l’equipe che lavora al progetto vuole capire se le risposte istituzionali, sociali e familiari furono adeguate, se  furono aiutati ad uscire da quel buio improvviso.  

Anna Baldry, psicologa e coordinatrice del progetto ha già raccolto diverse testimonianze, storie diverse ma tutte con un comune denominatore: l’inadeguatezza delle risorse messe in campo per aiutare le vittime. I familiari che hanno avuto in affidamento  gli orfani sono stati colpiti anche loro dal lutto ed hanno bisogno di aiuto; in alcuni casi le situazioni sono aggravate dalle  difficoltà economiche causate dalla perdita di entrambi i genitori.

E’ necessario mettere in campo azioni e interventi adeguati per ridurre il più possibile, il devastante impatto negativo del trauma, scoprire le reali necessità e bisogni di bambini adolescenti vittime di femminicidio, preparare raccomandazioni e linee guida da diffondere a livello europeo per affrontare il problema in maniera efficace.

Gli adulti che hanno vissuto questo trauma durante l’infanzia o l’adolescenza, e  che vogliono  contribuire al progetto Scwith-off, possono raccontare la loro esperienza contattando la coordinatrice del progetto, Anna Baldry, scrivendo a info@switch-off.eu. Saranno garantiti anonimato e riservatezza.

Articolo Precedente

Antiporno: la caccia alle streghe in Europa

next
Articolo Successivo

Parto: la forza segreta delle donne

next