Più che un post, questa è una petizione, non di firme, ma di grida di tutti coloro che vogliono smetterla di vivere in questo eterno presente nostalgico, eppure incapace di vera nostalgia, che è il nostro Paese.

Distruggiamo Pompei. Perché penso sia più dignitoso progettare la sua scomparsa piuttosto che lasciarla marcire all’incuria e alle intemperie. Così come la si è voluta strappare all’oblìo, liberandola del manto di cenere e lava che l’aveva seppellita 1700 anni prima, è adesso opportuno, e probabilmente bellissimo per il valore simbolico che tale atto assumerebbe, restituirla al suo destino, radendola al suolo o, meglio sommergendola sotto una colata di cemento, come il gretto di Gibellina. Spendiamo i soldi, una piccola parte dei soldi accumulati e non spesi per salvarla, per ideare e mettere in scena il grande evento, la sua demolizione.

L’unico possibile e auspicabile, bello di una bellezza disperata, quella dell’ammissione dell’impotenza ad opporsi alla forza della natura, dell’impossibilità di mutare il suo corso, di frapporsi alla sua dirompente vitalità che dalla morte e dalla distruzione di una terra e di un paesaggio trae linfa per rinascere e rigenerarsi. L’unico possibile per mettere a nudo la straziante condizione di non-essere che ci siamo costruiti, cullandoci nella gloria di un passato che abbiamo celebrato con gretta prosopopea, dimenticandoci che esso non deve servire a creare alibi al presente, a ciò che viviamo ogni giorno per renderlo immune dalla realtà, ma semmai può essere, deve essere, uno stimolo per pensare a domani. Se proprio grandezza fu, che si tenti almeno di emularla e non di rimpiangerla.

Distruggiamo Pompei, liberiamoci di questo equivoco e prima che il tempo, quello atmosferico, la divori interriamola nuovamente o, meglio, generiamo macerie, come quelle provocate dai bombardamenti a tappeto, che uccidono, ma poi obbligano a ricostruire. Dresda, che pure fu davvero sepolta dalle bombe nella più inutile e selvaggia azione militare della Seconda Guerra Mondiale, Dresda e i suoi cittadini hanno avuto il coraggio di dire no, non vogliamo più essere patrimonio dell’umanità, non vogliamo più la tutela dell’Unesco se questa deve impedirci di costruire il domani. Liberiamoci del passato e della sua memoria dolorosa e infruttuosa. Vogliamo vivere e avere il diritto al nostro futuro, di decidere e sceglierlo

Pompei sorge su un territorio magnifico, oggi ammalato di camorra, armata e in doppio petto, come pochi altri. Un territorio dove interessi diversi ma convergenti brigano perché quei resti rimangano tali e perché fiumi di denaro arrivino lì teoricamente per risanarli, ma praticamente per alimentare attività illegalmente di sistema e apparentemente di rinnovamento, come il sogno di un grande parco tematico, una Disneyland dell’antichità, pacchiana cento volte di più dei centurioni del Colosseo o delle imitazioni di Getty, ma probabilmente migliore dell’inutile tutela che lo Stato ha finora garantito a quei resti. Talmente inutile e arrogante e incompetente da aver pensato di risanarla affidandola non a un visionario, qualcuno capace di immaginarla oltre se stessa e oltre il passato, ma a un generale a un uomo d’armi, figura degnissima, ma altrettanto inadeguata, a meno che non si voglia ammettere di fatto che lì non di tutela o valorizzazione si tratta, ma di ordine pubblico. 

E il tutto per continuare a vantarsi della grande bellezza del nostro Paese? Dell’invidiabile primato di siti Unesco patrimonio dell’umanità presenti sul nostro territorio? Ma l’umanità ci schifa per come fraintendiamo il patrimonio, per come non sappiamo che farcene, per come non sappiamo investirlo in futuro. Tant’è che ci hanno messo sotto osservazione minacciando di ritirare la tutela Unesco per la nostra inadeguatezza.

Distruggiamo Pompei. Dimostriamo un po’ di dignità e proviamo su quelle macerie a uscire da questa palude. Smettiamola di “tutelarci” o di farci tutelare e scegliamo finalmente il nostro futuro. Partiamo da qui: distruggiamo Pompei.

Articolo Precedente

La Napoli degli anni Ottanta tra camorra e servizi nel nuovo romanzo di Arpaia

next
Articolo Successivo

“Muro Basso”, un film racconta la nuova vita dei beni confiscati alla mafia

next