PutinNel 1979 lo scrittore russo Vasilij Aksyonov scrisse un romanzo satirico chiamato L’isola di Crimea. Nell’opera immaginò una regione catapultata nel ventesimo secolo: neutrale e indipendente. Il testo sollevò un ampio dibattito politico; in molti cominciarono a domandarsi se la penisola avrebbe mai avuto uno stato libero dall’imperialismo sovietico e dai preconcetti legati al vecchio zarismo.

Le immagini di questi giorni hanno messo a fuoco l’importanza geopolitica della questione, ma hanno anche dimostrato che la trama pensata da Aksyonov sia destinata a restare pura fantasia, almeno per il momento. Se è infatti probabile che una ribellione separatista in Crimea, sulla scia dell’estromissione del presidente Viktor Yanukovych, possa dividere l’Ucraina, è altrettanto inverosimile che Mosca annetterà formalmente la regione prima del 25 maggio, quando il popolo ucraino si recherà alle urne per le annunciate elezioni politiche. Nonostante da più parti si gridi alla minaccia di un intervento militare russo in grande stile, gli obiettivi delle forze di Mosca sembrano infatti essere di portata limitata e soprattutto difensiva.

Ma facciamo un passo indietro. Sono decenni che i russi di Crimea guardano a Kiev con sospetto e la loro ostilità nei confronti del governo centrale non è in alcun modo riconducibile a un’ingerenza del Cremlino in salsa zarista. Al contrario, ha radici storiche ben definite che bypassano i piani strategici di Putin e la sua flotta navale ospitata dalle autorità di Sebastopoli.

Più precisamente risale al 1783, quando la penisola divenne parte dell’Impero russo sotto Caterina la Grande, che per prima ne sfruttò l’accesso al Mar Nero e i terreni circostanti per lo sviluppo economico dell’area. Verso la fine del 19esimo secolo Alexander III vi costruì poi due sontuosi palazzi nella città costiera di Yalta, chiamati Livadia e Massandra; dove nel primo lo stesso Stalin qualche decennio più tardi accolse gli ex presidenti Roosevelt e Churchill nella storica Conferenza del febbraio del 1945.

Anche la località di Sebastopoli, in Russia conosciuta come “la città della gloria” e dove il Cremlino ha posto il suo sigillo fino al 2042, svolge un ruolo particolarmente importante nella percezione dei russi di Crimea, poiché ospitò due storiche e sanguinose battaglie: la prima nel 1854 tra la Russia imperiale da un lato e gli ottomani, francesi e inglesi dall’altro; la seconda in pieno conflitto mondiale tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. Entrambi le guerre ebbero l’esito di glorificare l’arte, la letteratura e la cultura popolare del Paese di Josif.

È dal 1954, tuttavia, che la storia prende una piega impensata, quando l’allora leader sovietico Nikita Khrushev, secondo la leggenda sotto gli effetti di una sbronza, decide di concedere la penisola meridionale all’amministrazione di Kiev. Da quel momento il Cremlino inizia a considerare l’Ucraina come il suo cortile di casa o, peggio ancora, come un Vaticano del mondo ortodosso. L’amarezza per la perdita della regione fa da amplificatore a sentimenti d’indipendenza e secessione. Anche la Rivoluzione Arancione del 2004 diventa il teatro per reclamare ancora una volta la propria autonomia da Kiev.

Gli eventi delle ultime settimane sembrano dunque aver scongelato un capitolo geopolitico già scritto, fin dalla crisi dell’Europa orientale in piena Guerra Fredda. In particolare ricordano le invasioni del 1956 in Ungheria o del 1968 in Cecoslovacchia, anche se oggi un quadro del genere appare quantomeno anacronistico e insostenibile sul piano militare, politico e finanziario. Ancor più adatto, però, è il confronto con la guerra russa-georgiana del 2008. Al termine del conflitto Mosca si impegnò a riconoscere l”indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia sottoscrivendo successivamente accordi militari con le due repubbliche, ma nella sostanza entrambi i Paesi, da quel momento, rientrano nell’orbita d’influenza russa.

Questo, in un certo senso, potrebbe essere il modello di Stato pensato da Vladimir Putin per quanto riguarda la Crimea: un Paese fittiziamente indipendente in grado di soddisfare gli interessi del Cremlino su vari profili. Solo così, senza spingersi oltre il dovuto, la Russia potrebbe accreditarsi il suo ruolo di pacificatore già lungamente ostentato, ad esempio, nel conflitto siriano.

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