I legali dell’Ilva valuteranno se richiedere un risarcimento per i danni conseguenti al sequestro dei beni. E’ quanto ha annunciato il presidente del siderurgico tarantino Bruno Ferrante, in un incontro con la stampa a Milano. Ferrante, all’indomani della decisione della Consulta che ha dichiarato costituzionale la legge ‘salva Ilva, ha illustrato la prima mossa dell’Ilva: il deposito di una istanza nella quale si chiede “senza indugio” alla procura il dissequestro dell’acciaio (sbagliando perché il giudizio è sospeso dinanzi al Riesame). Inoltre Ferrante ha spiegato che ”una stima esatta dei danni non l’abbiamo fatta, però è evidente che la società nel suo complesso ha avuto ingenti danni”. Danni, quindi, che ora l’Ilva potrebbe decidere di chiedere alla magistratura tarantina, che dopo aver posto sotto sequestro l’acciaio il 26 novembre scorso, ha negato il dissequestro qualche mese fa sollevando la questione di legittimità costituzionale della legge.

L’azienda, insomma, passa all’attacco. Dopo aver denunciato alla Procura di Potenza i magistrati tarantini e i custodi giudiziari, attraverso un esposto che pur non contenendo i nomi dei giudici ne racconta tutti i provvedimenti, ora valuta anche l’ipotesi di considerarsi parte lesa per un sequestro conseguente a ipotesi di reato a carico di proprietà e vertici aziendali che a vario titolo sono accusati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e corruzione in atti giudiziari.

Intanto in fabbrica la situazione non sembra essere migliorata. Il Garante nominato dal governo, Vitaliano Esposito, in una lettera al ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha sottolineato che l’Ilva non è in regola con gli adempimenti dell’Autorizzazione integrata ambientale e che gli accertamenti dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) ha appurato l’esistenza di “criticità, che concernono sia gli interventi di adeguamento che l’esercizio della gestione”. Non solo. L’ex procuratore generale della Cassazione ha evidenziato che i ritardi riguarderebbero in particolare “i nastri trasportatori del materiale entro stabilimento, quelle concernenti l’aria di carico e scarico dei materiali, i parchi di deposito di materiali nonché taluni edifici asserviti alle aree di produzione”.

Nel suo rapporto l’Ispra ha spiegato che la fabbrica al momento non avrebbe eseguito nei tempi indicati una serie di misure sui cumuli dei parchi minerali, non avrebbe realizzato la “minimizzazione delle emissioni gassose fuggitive” e nemmeno provveduto alla realizzazione di un “sistema di nebulizzazione di acqua per l’abbattimento delle particelle di polveri sospese generate dalle emissioni diffuse”. Ma c’è di più. L’Ilva avrebbe superato in alcuni casi la durata delle emissioni e soprattutto i limiti imposti dai recenti provvedimenti senza informare l’autorità competente.

Il dossier dell’Ispra, infatti, parla di “omesse comunicazioni con dettagliate informative all’autorità competente ed agli di controllo”. In base a tutto questo, l’Ispra ha chiesto la diffida dello stabilimento affinché in un tempo compreso tra i 10 e i 60 giorni a seconda del tipo di misura possa provvedere a colmare queste inadempienze. Ma non è solo l’Ispra ad aver attaccato la fabbrica del Gruppo Riva. Il 13 febbraio scorso, infatti, è stata l’Arpa Puglia a inviare alla procura della Repubblica una missiva specificando che “risultano non ancora ottemperate dall’Ilva diverse prescrizioni. A titolo esemplificativo, si citano quelle relative a nastri e cadute il cui completamento è stato posticipato al 27 ottobre 2015, ovvero si è passati dai tre mesi prescritti ai 3 anni comunicati dall’azienda, alla chiusura completa degli edifici con captazione e convogliamento dell’aria degli ambienti confinati il cui completamento è stato posticipato dal 27 aprile 2013 al 30 giugno 2014”. Secondo l’Agenzia guida da Giorgio Assennato, quindi, “i differimenti temporali non fanno altro che incrementare il fenomeno di danno ambientale già in atto”.

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