Tesa l’atmosfera in strada e poco attendibili i sondaggi in Venezuela, a una settimana dalle prime elezioni presidenziali senza Hugo Chavez degli ultimi 14 anni. Improvvisi black out in vari quartieri di Caracas, della cui responsabilità chavisti e antichavisti si accusano a vicenda, hanno surriscaldato il clima nelle ultime ore.

L’aggressività politica è molto alta. La mobilitazione e la carica emotiva è quella della battaglia definitiva. Il conflitto tra le due parti, come sempre lo è stato negli ultimi 14 anni, è sempre a un passo dal diventare scontro fisisco. In un Paese in cui circolano milioni di armi da guerra illegali e in cui la maggioranza delle persone ha una pistola in casa, non è un buon segnale. L’erede designato da Hugo Chavez, Nicolas Maduro, ex ministro degli esteri con in mano le redini del Paese da quando, nel pomeriggio del 5 marzo, ha annunciato la morte del leader venezuelano, è dato in vantaggio dai principali istituti di sondaggio con un margine che oscilla tra gli otto e i venti punti percentuali. Qui, comunque, ai sondaggi non sembra credere nessuno. L’opposizione, riunita attorno al giovane candidato Enrique Capriles che teme la seconda sconfitta dopo quella del 7 ottobre scorso che riconfermò alla presidenza Chavez già gravemente malato, chiama i suoi elettori alla mobilitazione permanente e mette in discussione l’imparzialità del Consiglio nazionale elettorale, l’istituto statale che organizza e regola le operazioni elettorali.

A Caracas Capriles ha convocato i suoi a una marcia elettorale ben riuscita nel centro della città. Avenida Bolivar, una delle arterie della capitale e le sue strade laterali, sono gonfie di militanti della destra antichavista. Niente, rispetto alle oceaniche manifestazioni che riesce a mettare in piedi il governo a suo sostegno, ma si tratta comunque decine di migliaia di persone assembrate da ore sotto il sole e disposte a promettere “guerra” almeno a parole, al chavismo. Davanti alle torri del Parque central, luogo di uffici e negozi da classe medio-bassa, è sorto negli ultimi mesi un edificio di pochi piani, fatto di blocchi prefabbricati, identico a mille altri che stanno spuntando come funghi in tutto il Venezuela. E’ un edificio di edilizia popolare, di proprietà del governo. Gli appartamenti sono stati consegnati il 27 dicembre scorso.

Lì dentro vivono 144 persone. Sfollati, ex abitanti delle baraccopoli cresciute sulle colline che circondano la valle di Caracas. E’ gente che per la prima volta ha una casa in vita sua. Una settantina degli inquilini del palazzo popolare è schierata dall’alba di fronte al portone con grande manifesti inneggianti a Maduro. Fischiano ai sostenitori di Capriles che passano per raggiungere la manifestazione. “Chavez m’ha dato una casa, Maduro è il suo candidato e io lo voterò per sempre” spiega Maria, immigrata dall’estremo occidente venezuelano, al confine con la Colombia, che sembra il capo del gruppo. “Questi sono ricchi e ci vogliono rispedire nelle baracche, ma noi sismo di più e loro non vinceranno mai” dice Josefina, aggiustando il megafono da cui un rap chavista tenta di coprire senza successo i giganteschi impianti audio con cui l’opposizione diffonde il suo jingle “Capriles presidente”. La marcia della destra è fatta nella stragrande maggioranza di bianchi proveniente dall’est di Caracas, dai quartieri borghesi della città. Gli abitanti delle case popolari che gli gridano contro dalle finestre, sono quasi tutti neri o meticci dai tratti indigeni. Lo scontro politico in Venezuela, dopo 14 anni di chavismo, è ancora uno scontro di razza e di classe.

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