Un alito di speranza attraversa in questi giorni l’Europa mentre, con animo trepidante, tutti (ok, non tutti: molti) guardano al risultato del secondo turno francese augurandosi che il vincitore designato, François Hollande riesca a farcela mandando per sempre a casa l’insopportabile consorte della modella italiana più radical chic e politicamente flessibile di tutti i tempi (speriamo, che al peggio non c’è mai limite).

La mia impressione è che le cose siano meno scontate di quanto appaiano, ma questo lo discuteremo lunedì. Oggi, nell’attesa del voto, occupiamoci delle sue tanto dibattute implicazioni economiche che, a leggere la stampa nostrana ma non solo, sarebbero essenzialmente le seguenti. Hollande agirebbe per dare all’Europa una “nuova” politica economica orientata alla crescita e alla creazione di posti di lavoro stabili e ben remunerati dopo anni di inutile e dannosa “austerità” che ha causato e sta causando recessione, disoccupazione, caduta del reddito. Non è un caso che, grazie a questi saggi propositi, la candidatura di Hollande abbia ricevuto l’appoggio di tutti i socialisti e socialdemocratici europei, compresi i nostri Bondi, Brunetta e Tremonti…

Da svariate parti abbiamo appreso come Hollande sia l’anti-Merkel, l’unico capace di fermare l’aggressiva distruttività della cancelliera tedesca e di ricondurre l’Europa sulla strada della crescita e della prosperità economica. Come? Semplice: fermando le politiche di riduzione dei deficit pubblici in atto in svariati paesi, rilanciando (che vorrebbe dire “aumentando” ma fa meno paura) la spesa pubblica e agendo a livello politico europeo perché, da un lato, la Bce aumenti il tasso di creazione della moneta e, dall’altro, perché si arrivi all’emissione di Eurobond con i quali finanziare grandi progetti europei di spesa pubblica aggiuntiva.

In questo grande progetto di rinnovamento delle politiche economiche europee parecchi commentatori hanno rapidamente arruolato anche Mario Draghi il quale, da tempo, insiste sulla necessità che i governi dei vari paesi europei adottino politiche orientate alle crescita. Chi abbia fatto anche solo superficiale attenzione alle relazioni presentate negli anni scorsi da Mario Draghi nel suo ruolo di Governatore della Banca d’Italia non si sorprenderà di scoprire che, almeno nell’opinione dell’attuale presidente della Bce che è anche la mia, la crescita non viene né da addizionale spesa pubblica né da ulteriori e miracolosi aumenti della quantità di moneta in circolazione.

Perché, come tutti sappiamo, i due grandi paesi europei che si trovano oggi in seria recessione sono l’Italia e la Spagna, ossia i due con il maggiore, non il minore, deficit pubblico. Perché, come tutti sappiamo, il deficit pubblico italiano è stato ampiamente negativo e la sua spesa pubblica è aumentata in ognuno degli ultimi, dieci, venti, trenta… anni e questo continuo e persistente aumento della spesa e del debito non ha condotto ad alcuna, miracolosa, grande crescita economica, ma esattamente al suo contrario. Perché, come tutti sappiamo ma amiamo scordare, i paesi del Nord Europa che non soffrono della recessione ma anzi crescono (non solo la Germania, ma anche la Svezia e altri) i tagli alla spesa pubblica li han fatti in tempo utile (la Svezia, per dire, ha tagliato quasi 17 punti percentuali di Pil di spesa pubblica in vent’anni e cresce a ritmi che noi non vediamo dall’inizio degli anni 70!) e agiscono oggi per mantenere il loro deficit sotto controllo. Queste cose non le sappiamo solo voi e io: le sa anche Draghi il quale, grazie a dio, di nuovo e contrariamente al signor Tremonti e al signor Bersani, non se le scorda quando possa apparire politicamente conveniente farlo.

Per questa ragione ha avuto l’onestà intellettuale e il coraggio politico di ricordare al Parlamento europeo non solo che da un’ulteriore espansione monetaria e della spesa pubblica non verrà alcuna crescita, ma anche e per l’ennesima volta, che la crescita economica può venire solo da riforme strutturali che aumentino la produttività e favoriscano la concorrenza e che, soprattutto, facciano della spesa pubblica una fonte di servizi produttivi efficienti e non di redistribuzione, inefficienza, acquisto del consenso, parassitismo, corruzione. Tutte cose banali che, ripeto, Mario Draghi andava scrivendo da anni, in italiano, nelle sue relazioni da Governatore.

Un vero peccato, quindi, che né il governo dei tecnici né, e ancor meno, la classe politica italiana dimostrino alcuna capacità di fare attenzione alle cose che questo signore (non da solo) va dicendo da più di un decennio. Trastullarsi con la nuova fantasia, quella di un Hollande che lancia in resta salverà l’Europa a cavallo della spesa pubblica e dell’espansione monetaria, è non solo infantile perdita di tempo ma anche gioco pericoloso. Da un lato perché, se Hollande vincesse e si dovesse aprire a livello europeo uno scontro politico sulla questione spesa sono abbastanza certo che la Bce non starebbe con il partito che vuole più deficit. Dall’altro perché un simile scontro politico avrebbe effetti deleteri sul debito di svariati paesi europei, sulla stabilità dell’euro e, alla fine, sul nostro benessere economico. È per questo che, nonostante l’antipatia profonda che provo per il signor Sarkozy e la sua consorte, non mi resta che augurarmi di doverli vedere per qualche anno in più intonare ufficialmente la Marsigliese.

Il Fatto Quotidiano, 5 Maggio 2012

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