Dopo la notizia dell’ingloriosa fine della Saab e della chiusura di uno stabilimento a testa per Fiat e Opel (il prossimo sarà Mitsubishi in Olanda), ieri l’Acea, l’organizzazione europea dei costruttori di automobili, ha presentato il conto: con l’eccezione del gruppo Volkswagen che chiude il trimestre in sostanziale pareggio rispetto a un anno fa, tutti gli altri marchi presentano dei dati negativi a due cifre: Psa-Puegeot-Citroen -17,3% sul trimestre, Renault -23,1%, Fiat addirittura -25,8%.

A fronte di un trimestre tanto difficile, l’Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri ha già invocato l’ennesima concessione di incentivi statali per contrastare la crisi della domanda. L’unico dato positivo che emerge da questa situazione è che mentre la dirigenza del lingotto si limita a puntare il dito contro lo sciopero delle bisarche, alcuni costruttori riconoscono l’esistenza di una crisi della domanda. Per porvi rimedio, le case automobilistiche hanno aumentato del 5,1% gli investimenti in pubblicità, ma evidentemente neanche il ricorso al caro vecchio marketing è in grado di invertire la tendenza.

Sicuramente l’attuale crisi economica non aiuta: sempre meno persone possono permettersi un finanziamento per l’acquisto di un auto nuova e il costo della benzina è un vero flagello per chi vuole utilizzare l’automobile. Ma ci sono altre tendenze in corso che vale la pena considerare: un recente studio ha evidenziato che le nuove generazioni americane stanno progressivamente perdendo interesse nei confronti dell’automobile e, di conseguenza, conseguono la patente di guida sempre più tardi.

Che sia forse in corso un disinnamoramento nei confronti dell’automobile?

Può darsi, ma quello che è più probabile che le case automobilistiche si trovino di fronte ad una banalissima saturazione del mercato. Se consideriamo il parco circolante italiano, possiamo notare come questo sia cresciuto in modo quasi lineare dalla metà degli anni ’70 ad oggi fino ad arrivare a oltre 49 milioni di veicoli a motore e a oltre 37 milioni di automobili. In termini relativi, se consideriamo solamente la popolazione italiana al di sopra dei 18 anni, questo significa che ci sono 97 veicoli a motore ogni 100 abitanti, 73 dei quali sono automobili. Anche volendo puntare tutta la nuova produzione sulle auto green, elettriche, a basso impatto ambientale, resta comunque la domanda: a chi vogliamo vendere ancora delle nuove automobili? Dove vogliamo metterle?

Abbiamo sacrificato gli spazi collettivi delle nostre città per trasformarli in parcheggi per le auto ma, nonostante questo, sembrano non essere mai abbastanza.

A questo punto, invece di pensare a degli incentivi per aumentare le vendite di qualcosa che oggettivamente non serve, dislocando le fabbriche in zone del mondo dove la manodopera è a disponibile a basso costo, perché non riconvertire le industrie per iniziare a produrre qualcosa di realmente utile e in grado di arricchire l’economia locale? La Nokia, prima di diventare il più grande produttore di telefonia mobile, produceva stivali in gomma. Questo dimostra che cambiare è possibile e necessario.

Forse è arrivato il momento di chiedersi se l’Italia (e il mondo occidentale in generale) possa ancora permettersi una mobilità basata sull’automobile privata. Io credo di no.

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