In Italia, gli studenti universitari fuoricorso sono una quota pari al 40 per cento degli iscritti. È un fenomeno dovuto a diversi fattori: dal sistema di regole di accesso e di prosecuzione dell’università alle modalità di finanziamento degli atenei, ai rendimenti della laurea sul mercato del lavoro. Le soluzioni, allora, dovrebbero puntare a rafforzare le attività di orientamento già negli ultimi anni delle scuole superiori, a ripensare l’impianto delle tasse universitarie e a migliorare nettamente i collegamenti fra sistema d’istruzione e mercato del lavoro.
di Carmen AinaEliana BaiciGiorgia CasaloneFrancesco Pastore 16.04.2012, lavoce.info

Una peculiarità consolidata del sistema universitario italiano è la tendenza a laurearsi ben oltre la durata legale del corso prescelto, fenomeno per cui è stato addirittura coniato il neologismo “fuoricorsismo”. Tuttavia, solo dopo le affermazioni del vice-ministro Michel Martone che ha definito “sfigati” coloro che si laureano dopo i 28 anni, il fenomeno è assurto agli onori della cronaca.
Nel trattare un tema così delicato occorre però non farsi trascinare dalla tentazione di interpretare tale abitudine meramente come la conseguenza di cattivi comportamenti individuali degli studenti.

Le dimensioni del fenomeno
Secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione, gli studenti fuoricorso rappresentano una quota pari al 40 per cento degli iscritti e il loro numero è cresciuto costantemente nel periodo 1969-2009 (figura 1).

Figura 1. Studenti iscritti, fuoricorso e laureati in Italia (1969-2009)

Note: La linea verticale si riferisce all’anno di attuazione della riforma universitaria del “3+2”.
(Fonte: nostra elaborazione su dati Istat e Miur 1969-2009)

Con l’introduzione della riforma del “3+2”, la quota di studenti che si laureano fuoricorso si è ridotta significativamente, passando dal 76,2 per cento del 2002 al 56,3 per cento del 2008 (figura 2), anche se tale dato è inficiato da coloro che sono passati dal vecchio al nuovo ordinamento, riuscendo così a laurearsi rapidamente.

Figura 2. Percentuale dei laureati nella durata legale e fuoricorso (2002-2010)

Fonte: nostra elaborazione su dati Miur (2002-2010)

Le cause
Il fuoricorsismo è dovuto a diversi fattori, quali: 1) il sistema di regole di accesso e di prosecuzione degli studi universitari; 2) le modalità di finanziamento del sistema universitario; 3) i rendimenti sul mercato del lavoro della laurea.

La mancanza di test di ammissione (salvo rare eccezioni) permette l’iscrizione ai corsi universitari indipendentemente dalla motivazione e dal livello generale di preparazione acquisito; l’unico requisito richiesto è infatti il possesso di un diploma di scuola superiore quinquennale. Questo scenario posticipa pertanto la selezione, con la conseguenza di rallentare il percorso di tutti. La laurea nei tempi previsti è poi scoraggiata da una serie di regole relative al superamento degli esami. Nella maggior parte dei percorsi non è necessario, ad esempio, superare tutti gli esami previsti durante un certo anno accademico per accedere a quello successivo; è possibile sostenere ciascun esame anche più volte, fino a quando non viene superato o non si raggiunge il voto desiderato; inoltre, non c’è un limite di tempo massimo per laurearsi essendo stabilita solo la durata legale. Da ultimo, ma non per ultimo, il sistema universitario italiano è caratterizzato nel suo complesso da scarsa efficienza.

In molte facoltà, specie nel primo anno di corso, gli studenti seguono lezioni in aule sovra-affollate, fattore che scoraggia la frequenza e che rende difficile se non impossibile l’interazione tra docenti e studenti. Risulta anche estremamente carente, a causa dell’inadeguato numero di docenti l’offerta di classi di esercitazione/approfondimento più piccole, nell’ambito delle quali il lavoro dello studente potrebbe venire costantemente monitorato.
In questo contesto la politica di ridurre le tasse per gli studenti che sono iscritti oltre il periodo minimo previsto non incoraggia certo la laurea nei tempi stabiliti. (1) Inoltre, poiché i trasferimenti statali alle università, fino a pochi anni fa, erano correlati positivamente al numero complessivo degli studenti iscritti, incluso il numero dei fuoricorso, veniva meno qualsiasi incentivo da parte delle istituzioni di adottare qualsiasi misura volta a ridurre la quota di tali studenti.

Una possibile ulteriore spiegazione del fenomeno sembra infatti essere rappresentata dalle scarse opportunità lavorative per i neolaureati che, specie in alcune aree del paese, costituirebbero un forte disincentivo a completare regolarmente il percorso di studi. (2) I ridotti rendimenti dei titoli di studio universitari rappresenterebbero quindi non solo un disincentivo a investire in istruzione , ma anche un deterrente a laurearsi in tempo. Gli stessi bassi rendimenti possono essere visti come una conseguenza degli alti costi indiretti dell’istruzione, strettamente legati al tempo impiegato per laurearsi. (3) Se acquisire istruzione spendibile sul mercato del lavoro richiede tanto tempo, l’intera curva dei guadagni si sposta a destra e il laureato può sfruttare i maggiori guadagni per un periodo di tempo più limitato.

I rimedi
Dall’individuazione delle cause del fenomeno del fuoricorsismo italiano emergono possibili indicazioni di policy. Anzitutto occorre rafforzare le attività di orientamento già negli ultimi anni delle scuole superiori in modo da consentire ai giovani di individuare per tempo il percorso universitario più adatto alle loro caratteristiche. Tali misure dovrebbero poi essere accompagnate da efficaci meccanismi di regolamentazione degli accessi all’università. Inoltre, occorre ridurre l’eccessiva flessibilità nella programmazione degli esami da parte degli studenti. Sarebbe poi fondamentale intervenire sul fronte delle dotazioni di capitale fisico e umano, in modo da agevolare l’interazione continua tra docenti e studenti.

Occorrerebbe poi ripensare il sistema di tasse universitarie, introducendo maggiori incentivi (o quanto meno eliminando gli attuali disincentivi) a un percorso di studi regolare.
I collegamenti fra sistema d’istruzione e mercato del lavoro sono ancora scarsi e andrebbero pertanto migliorati. Nonostante la progressiva diffusione dei tirocini e stage in azienda durante il percorso universitario, le attività di job placement delle università, laddove esistono, hanno ancora un’efficacia limitata. (4) Tutto ciò porta a richiedere molti anni per laurearsi e un periodo non breve per trovare un lavoro.

di Carmen Aina, Eliana Baici, Giorgia Casalone e Francesco Pastore

(1) Garibaldi, P., F. Giavazzi, A. Ichino, and E. Rettore (2012), “College Cost and Time to Complete a Degree: Evidence from Tuition Discontinuities”, forthcoming in The Review of Economics and Statistics.
(2) Aina, C., Baici, E. and G. Casalone (2011), “Time to degree: student’s abilities, university characteristics or something else? Evidence from Italy”, Education Economics, 19(3): 311-325.
(3) Pastore F. (2011a), Fuori dal tunnel: Le difficili transizioni dalla scuola al lavoro in Italia e nel mondo, Torino, Giappichelli.
(4) Secondo l’ultima indagine Almalaurea, il 57 per cento dei laureati dichiara di aver svolto un periodo di tirocinio Almalaurea (2011) XIII indagine, Profilo dei laureati 2010, Bologna, Almalaurea

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