Stazione Termini, nelle notti del grande gelo. L’altoparlante annuncia treni soppressi, ritardi di ore, la Stazione Tiburtina chiusa. Nevica e l’Italia perde la faccia e la testa. Si blocca, anche quella magnifica, modernissima, pubblicizzata e costosa ad Alta Velocità. La voce metallica dell’altoparlante non chiede scusa per i ritardi, non fornisce spiegazioni su quali treni prendere, ma ripete, ad intervalli regolari e ossessivi, che è severamente vietato attraversare la linea gialla. E invece, ti guardi intorno e vedi che nella notte del grande freddo romano, e della neve che presto diventerà ghiaccio e freddo da spaccarti le ossa, c’è chi quella linea gialla l’ha oltrepassata da tempo. È una umanità infreddolita e dolente. Avvolta in coperte sudice, rannicchiata nei cartoni sui marciapiedi di via Marsala e via Giolitti. Piegata dalla solitudine.

Senza lavoro, famiglia, asilo
Sotterranei della stazione. La casa di Nicola è una sedia a rotelle traballante che trasporta lui e le povere cose che ha. Chiede di abbassare la telecamera come tutti gli abitanti del grand Hotel Termini. “Non voglio che mi vedano i miei figli”. È romeno di Brasov, venuto in Italia dieci anni fa a cercare la fortuna. “Poi la malattia, lo zucchero nel sangue, diabete e cancrena”, ci dice indicando il piede che gli manca, “mi ha distrutto. Ho perso il lavoro nel cantiere, la casa, non vedo la mia famiglia da due anni”. All’una la stazione chiuderà, polizia ferroviaria e guardie private cacceranno tutti. E Nicola? “Lo aiuteranno gli altri disgraziati come lui a salire con la sua carrozzella e dormirà all’aperto”, ci racconta un addetto alle pulizie. “Ogni notte vedo aumentare le persone che cercano un rifugio nella stazione, ci sono i barboni che io chiamo storici e quelli nuovi. Li riconosci subito, all’inizio sono impacciati, abbassano gli occhi, cercano di tenere in ordine i vestiti che hanno addosso. Poi si riducono come gli altri. Ascolto i loro racconti, sono padri di famiglia che hanno perso il lavoro, uomini separati, gente sfortunata”.
Quello dei senza fissa dimora
è un popolo. “Settemila persone a Roma”, ci dice Roberta Molina, della Caritas. “La cosa più drammatica è che spesso incontriamo per strada interi nuclei familiari. Nei giorni passati abbiamo dato ricovero in una casa famiglia ad una donna con cinque figli. Basta poco per finire in strada, un fallimento, una separazione, la perdita del lavoro”.

Settemila fantasmi
Settemila uomini e donne che come tetto hanno il cielo freddo della notte o la volta di una stazione. Sono i nuovi poveri, gente che a Roma si divide anche i pezzi di strada. A via Marsala gli immigrati di colore, in via Giolitti, l’altro lato della Stazione Termini, tutti gli altri. Due ragazze scaricano dalla macchina un materasso. “Non siamo volontarie, vogliamo solo dare un aiuto”. Lo regalano ad un egiziano accucciato a terra sopra i cartoni che lo difendono dalla neve che è già ghiaccio. Di fronte l’insegna luminosa di un hotel, a pochi passi dai suoi piedi nudi un topo enorme che cerca la strada verso la fogna. “Sono un richiedente asilo. Guarda le mie scarpe, sono pulite, non sono un barbone”.
Via Marsala, ore tre del mattino. Ci colpisce una figura che avevamo visto due ore prima. È una donna di colore, è in piedi avvolta in una coperta. Sta così da ore. Ai volontari che l’avvicinano e le porgono un a tazza di the bollente e un panino, riesce a dire solo una frase: “Ho paura di stare qui”. Qui è questo pezzo di Bronx capitolino popolato di strani animali metropolitani che diventano padroni della notte e un locale, un bar con luci sfavillanti, i buttafuori di colore che sembrano usciti da un vecchio film di Martin Scorsese e l’alcol venduto a fiumi per tutta la notte. “Sì, la notte è anche questo a Roma – ci dice Roberta Molina – come Caritas, grazie alle parrocchie e ai nostri ostelli, riusciamo a dare ricovero a 500 persone, ma non basta. Mi irrito quando sento parlare di emergenza freddo, l’inverno viene ogni anno, è prevedibile, ma nessuno fa quello che si dovrebbe per questa gente”.
Stazione Ostiense, le porte a vetri sono illuminate dalle luci di un cartellone pubblicitario. “Quest’inverno i più fortunati se la vedranno nera”, c’è scritto proprio così e pubblicizza una macchina. Dentro la stazione decine di persone dormono a terra. Due ragazzi ci vedono e scappano. Sono afghani e raggiungono i loro compagni riparati in tende e ricoveri di plastica e cartone, poco più avanti, al terminal costruito per i Mondiali 90. “Anche questa – ci racconta Dina Giuseppetti del Cies, una ong che si occupa di immigrati e rifugiati – è una emergenza. Ci sono minori non accompagnati, ragazzi fuggiti dall’Iraq, dall’Afghanistan, che raggiunti i 18 anni finiscono per strada o in centri di accoglienza con adulti senza fissa dimora. Un dramma”.

Morte da clochard

Anche ad Ostiense l’altoparlante gracchia per tutta la notte. Treni soppressi, ritardi e la linea gialla. Due clochard sono morti. Una donna ucraina di 48 anni l’hanno trovata in una baracca di Ostia. Non c’era riscaldamento. Un altro, un tedesco, vicino Perugia. Un altro ancora lo hanno salvato a stento a Piacenza. Era assiderato. Tutti e tre avevano oltrepassato la loro linea gialla.

Il Fatto Quotidiano, 5 Febbraio 2012

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