Era il 14 aprile 2010 e Marilena Natale, giornalista di cronaca giudiziaria della Gazzetta di Caserta, si trovava nei pressi della caserma dei carabinieri di Casal di Principe per svolgere il suo lavoro. C’era fermento, quel giorno. I militari dell’Arma avevano appena catturato il boss Nicola Panaro, latitante da sette anni, cugino di ‘Sandokan’ Francesco Schiavone.

Panaro è il numero tre dei Casalesi, ritenuto tra i trenta ricercati più pericolosi d’Italia. In via Vaticale, di fronte alla caserma, si forma il consueto nugolo di cronisti, cameraman, parenti e amici dell’arrestato. Contatti che generano tensione, i sodali del camorrista non gradiscono chi mette in piazza i crimini dei clan e parla male delle famiglie che contano. Un operatore tv viene preso a calci. Marilena è avvicinata da Vincenzo Armando Caterino, cognato di Panaro, e da altre persone: “Vattene da qui, io so chi sei e dove abiti”. Il tono è inequivocabile. La giornalista presenta un esposto sull’episodio. Scatta un’inchiesta, il reato ipotizzato è violenza privata con l’aggravante di aver favorito la camorra. Circostanza che fissa la competenza nella Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Pochi giorni fa, la sentenza del Gup Claudia Picciotti, più severa persino della richiesta del pm Giovanni Conzo: Caterino, nonostante lo sconto di pena del rito abbreviato, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi, che ha iniziato a espiare ai domiciliari. A Formia, però: a buona distanza dalla vittima. Una pena severa. Un precedente importante per Marilena e per tutti i cronisti in terra di camorra, che non hanno paura di scrivere, di raccontare, di analizzare, di rendere pubblici i crimini dei clan, la loro arrogante violenza, la scia di morte e dolore dietro alle loro ricchezze esibite in maniera pacchiana.

“L’uomo che mi ha minacciato ha fatto sapere che si era pentito del gesto e voleva risarcirmi con 1500 euro – dice la Natale a ilfattoquotidiano.it – ma a chi mi ha riferito l’offerta ho risposto che se prendete una mia 50 euro e la spezzate, esce il sudore di mio padre, mentre se spezzate una delle sue banconote, esce il sangue della povera gente. Io non prendo soldi dalla camorra. Se vuole risarcirmi, con quei soldi ci compri la carta delle fotocopie per la Dda”.

Marilena vive da tempo sotto vigilanza per le minacce ricevute. In estate, su disposizione dei magistrati, ha cambiato luoghi e abitudini di residenza e di pernottamento. Di giorno la vedi galoppare senza tregua da un Tribunale a un presidio delle forze dell’ordine, per cercare documenti, notizie, ‘dritte’ riservate, che puntualmente pubblica sulla Gazzetta di Caserta, uno dei quotidiani più diffusi tra le capitali di Gomorra. Marilena è una persona che non ha paura di prendere posizione. Ad agosto scrisse una lettera aperta per criticare la nomina ad assessore di Casal di Principe di un politico indagato per voto di scambio politico-mafioso, nonché cugino di un ex consigliere regionale Udeur arrestato per camorra. La lettera scatenò un putiferio di reazioni. E la vicenda conquistò le pagine dei principali quotidiani nazionali. Alcuni dei quali, però, dimenticarono di precisare che a sollevare il caso era stata una giovane, brava e coraggiosa giornalista locale. Una che non ha paura di pubblicare quel che sa e quel che pensa. Nonostante le minacce.

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