Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco

La nomina di Ignazio Visco a governatore della Banca d’Italia, dopo lungo travaglio, sembra mettere d’accordo tutti. Silvio Berlusconi compreso, che ha rotto la riserva dopo mesi di stallo, indicandolo come successore di Mario Draghi, passato al vertice della Banca centrale europea. Ma negli ultimi mesi, Visco non è stato altrettanto tenero con il governo e con le sue scelte economiche. Senza mai mancare alla necessaria sobrietà richiesta a un (allora) vicedirettore generale di Bankitalia, in diversi interventi ufficiali ha fatto proprie le critiche ai recenti provvedimenti economici dell’esecutivo presieduto da Berlusconi, avari di ricette che spingano la crescita economica.

“Il riequilibrio dei conti pubblici deve associarsi a una politica economica volta al rilancio delle prospettive di crescita della nostra economia”, ha affermato il 30 agosto in Senato, davanti alle commissioni Bilancio dei due rami del Parlamento (qui il testo integrale), dopo che il governo aveva varato il decreto sulla manovra correttiva. “Occorre recuperare competitività e creare un ambiente più favorevole all’attività d’impresa, all’offerta di lavoro, alla formazione di capitale umano e fisico”. E questo perché, osservava il futuro governatore, “da molti anni la crescita economica è in Italia inferiore a quella degli altri paesi dell’Unione europea”. E avvertiva: “L’aggiustamento dei conti, necessario per evitare uno scenario ben più grave, avrà inevitabilmente effetti restrittivi sull’economia”. Con un chiaro allarme finale: “Rischiamo quindi una fase di stagnazione, che rallenterebbe anche la flessione del peso del debito sul Pil”.

Visco non si mostrava particolarmente convinto dal capitolo sui tagli ai costi della politica, che includeva tra l’altro la riduzione delle Province: “Gli effetti finanziari di queste misure non sono quantificati. Al di là dei risparmi e dei guadagni di efficienza direttamente conseguibili, va rilevato che un deciso intervento sui ‘costi della politica’, intesi in senso ampio, segnala l’urgenza e contribuisce alla condivisione della necessità del riequilibrio dei conti pubblici”.

Sul famigerato articolo 8 del decreto di Ferragosto, che permetteva alla contrattazione aziendale di aggirare in parte lo Statuto dei lavoratori, Ignazio Visco puntualizzava: “La contrattazione non può tuttavia sostituirsi a un’adeguata disciplina normativa. Le tutele dei rapporti di lavoro e il sostegno alle persone senza un impiego devono essere coerenti tra loro e volti a facilitare i processi di riallocazione dei lavoratori tra imprese e settori, superando l’attuale segmentazione del mercato del lavoro”.

E non deve aver fatto piacere, al presidente del consiglio che ha costruito le sue fortune sulla promessa “meno tasse per tutti”, sentire il vicedirettore di Bankitalia che parlava di pressione fiscale a livelli record: “Tra il 2011 e il 2014 l’incidenza delle entrate sul prodotto crescerebbe di 1,9 punti percentuali. La pressione fiscale salirebbe soprattutto nel 2012 e nel 2013 (rispettivamente di 1,1 e 0,7 punti); nel 2014 si attesterebbe al massimo storico del 44,5 per cento”. Con il rischio di andare oltre: “Tale livello sarebbe ancora maggiore se gli enti decentrati compensassero, anche solo in parte, la riduzione dei trasferimenti statali con un aumento dell’imposizione a livello locale”.

Già in una precente audizione, sempre al Senato il 13 luglio (qui il testo integrale), il futuro governatore della Banca d’Italia aveva messo in guardia  il governo: “I provvedimenti recenti possono non bastare: vi è l’urgenza di avviare un’azione di respiro più ampia e radicale che riporti il nostro paese su un sentiero di crescita sostenibile e duratura”. Un sentiero che, a giudizio pressoché unanime di imprenditori, sindacati ed economisti, non è ancora stato imboccato.

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