Il giornalista? Cerca di cambiare mestiere finché sei in tempo. Te lo dico io…

Il bonario consiglio viene spesso da un collega esperto, spesso capo redattore di qualche quotidiano, che già negli anni ’80 aveva il suo mitico contratto a tempo indeterminato. Solo in seguito si capirà che quel contratto è un articolo 1 e che un articolo 1 vuol dire “a vita”: caratteristiche lavorative che, per chi è nato dopo l’insediamento di Bettino Craxi a Palazzo Chigi, hanno ormai assunto la stessa consistenza del Santo Graal.

Per anni sembrava che il consiglio dell’ esperto collega si riferisse più che altro alle difficoltà del mestiere. Ingenuamente uno pensava che bastasse lavorare duramente per superare l’ostacolo. Certo, per fare il cronista non basta soltanto l’applicazione. Ci vuole anche un briciolo di talento. Ma quello, se c’era, sarebbe emerso. E così si passavano giorni a cercare notizie sulle polverose strade di provincia. Mattinate intere rubate agli studi universitari e passate nei tribunali, a prendere appunti e infastidire avvocati e magistrati. E poi i pezzi sui periodici locali, le minacciose chiamate di protesta (urlata) dei politici e dei criminali di cui si era scritto (a volta non si capiva chi era il politico e chi il criminale), le querele superate grazie a parenti o amici avvocati che ti assistevano gratuitamente (in caso contrario si sarebbe già messo il cappuccio alla penna per sopraggiunto fallimento). La classica gavetta in cui ci si fa le ossa sognando di farlo sul serio questo mestieraccio.

Poi ad un certo punto il risveglio. E la comprensione che quel consiglio  non si riferiva alla difficoltà del mestiere di cronista. Si riferiva invece all’ impossibilità reale di poterlo fare, quel lavoro.

Una sorta di muro di gomma che se ne infischia della tua gavetta, della tua bravura e spesso anche del tuo talento. Il precariato in questo mondo è da anni diventato condizione stabile. Un ossimoro professionale che divide nettamente in due la categoria: i raccomandati davanti e poi tutti gli altri. I primi sono “amici di” , “segnalati da”, “in quota X”. Con tutte queste conoscenze in alto loco  non si capisce bene come dovrebbero farlo questo mestiere. Anzi, sfogliando i quotidiani si capisce benissimo. Poi ci sono gli appartenenti al secondo gruppo, quelli che conoscono pochi notabili ma al contrario hanno spesso buone conoscenze professionali. Categoria infame che viene stretta per la gola, presa per fame e spesso umiliata e neutralizzata. D’ altronde, quanti sono quelli che per 5 euro lordi ad articolo hanno la voglia e la forza di tirarsi addosso querele, denunciare il malaffare e realizzare inchieste degne di nota?

In questo Paese si è deciso di riservare alle cariche pubbliche stipendi d’oro e pensioni d’argento con la motivazione che così se ne preserva la corruttibilità, anche se poi spesso il livello di corruzione registrato è altissimo lo stesso. Per chi invece sui pubblici incorruttibili (sic) deve vigilare, ovvero i cronisti, è stato allestito un ambiente fatto di lavori gratuiti, semi gratuiti e in nero: quasi un modo per renderli innocui e ricattabilissimi.

Sembrerebbe un gioco disegnato dall’alto, dagli editori riuniti in lobby plenaria vogliosi di brevettare un bavaglio che prescinde da decreti leggi e divieti. E a guardare lo stato attuale sembra che l’obbiettivo sia stato centrato. Ma mentre il collega esperto allarga un sorriso amaro come a dire “te l’avevo detto”, spunta una terza microscopica categoria:  gli irriducibili, quelli che se ne infischiano del precariato e dei 5 euro e che vogliono fare a tutti i costi questo dannato lavoro. Allora fondano giornali, aprono siti web e s’improvvisano editori. Sono  ancora pochi, pochissimi. Ma l’impressione è che (forse) questo dannato mondo fatto di veline e telefonate stia lentamente cambiando. Gli ottimi risultati di certi giornali indipendenti alimentano la speranza.

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