Possibile che l’America vada verso il socialismo? A giudicare dai due candidati alle presidenziali di novembre, non si direbbe. Anzi, l’esatto contrario. Biden è impegnato nelle due guerre odierne in Ucraina e Gaza. Dell’altro, l’uomo dai capelli arancioni, l’ultima trovata è un video pubblicato dal suo social con titoli che parlano di un “reich unificato”, se il tycoon vincesse le elezioni. Socialismo, ma dove, quando, come?

Eppure, un recente sondaggio del Pew Research Center rivela che il 44% dei giovani americani tra i 18 e i 29 anni ha una visione positiva del socialismo, mentre solo il 40% vede il capitalismo sotto una luce favorevole. Dato sorprendente, che segnala cambiamenti profondi nel tessuto sociale dell’America. Aumenta la disillusione nei confronti del sistema economico tradizionale, soprattutto per i guasti prodotti dalla iper finanziarizzazione dell’economia e dallo strapotere della banca centrale. Politici radicali come Bernie Sanders (il suo manifesto è Sfidare il capitalismo, Fazi Editore, con prefazione di Fausto Bertinotti) e Alexandria Ocasio-Cortez detta AOC, 34enne combattiva democratica di sinistra, hanno contribuito a divulgare le idee socialiste in America facendosi promotori di riforme come il Medicare for All e il Green New Deal. Nettamente minoritari, non c’è dubbio, ma rappresentano le ragioni autentiche di un lento spostamento ideologico che potrebbe ampliarsi.

I motivi ci sono tutti. Le generazioni dei Millennials e Gen Z hanno vissuto crisi economiche pesanti, come la Grande Recessione, la pandemia e da ultimo l’inflazione che hanno esacerbato le disuguaglianze economiche e sociali. La crescente disparità di reddito, l’aumento dei costi dell’istruzione e della sanità (negli ospedali americani una colonscopia costa 18.000 dollari) e la precarietà del lavoro sono fattori che alimentano la disillusione e in molti casi il risentimento nei confronti del capitalismo “made in Usa”. Secondo il Pew Research Center, questa tendenza potrebbe portare a una pressione crescente per politiche di redistribuzione del reddito, assistenza sanitaria universale e accesso gratuito all’istruzione superiore (cioè l’opposto di quel che propone Trump).

Altri sondaggi mostrano che i valori dei giovani americani stanno cambiando radicalmente rispetto alle generazioni precedenti. Un rapporto di Public Opinion Strategies mostra che chi appartiene alla Generazione Z attribuisce meno importanza al patriottismo, alla fede religiosa e alla famiglia rispetto ai baby boomer (Giorgia Meloni prenda nota, con i suoi strategist, se vuole davvero durare 5 anni a Palazzo Chigi). Inoltre, molti giovani non vedono più l’America come il “miglior posto dove vivere” e tendono a identificarsi come atei, agnostici o non affiliati a nessuna religione. Evoluzione dei valori, per i sondaggisti, sintomo di un allontanamento dalle istituzioni tradizionali e di un’apertura a nuove idee e modi di vivere (Salvini, Vannacci e compagnia retrograda cantante, come ovvio, non leggono questi sondaggi).

Il divario generazionale si riflette anche nell’orientamento politico. Secondo Gallup, i Millennials e i membri della Generazione Z hanno il doppio delle probabilità di considerarsi ‘indipendenti’ in politica rispetto agli americani più anziani. Questo crescente distacco dai due partiti tradizionali – repubblicani e democratici verso il voto per la Casa Bianca in stile gerontocomio, con due candidati da 158 anni complessivi – potrebbe segnalare futuri cambiamenti del panorama politico. Quali, ancora non è chiaro. Bruce Mehlman, nella sua newsletter “Age of Disruption”, conferma che i giovani elettori stanno già evitando i “due partiti stanchi,” preferendo identificarsi, appunto, come ‘indipendenti’.

Andranno alle urne, a novembre? Si può scommettere che le nuove generazioni di un paese di 341 milioni di abitanti, la superpotenza dominante nel mondo, non siano per niente attratte dal futuro rappresentato da due vegliardi che leggono ambedue (e male) dal teleprompter chiedendo loro il voto. Infine, le opinioni dei giovani americani sulle questioni internazionali mostrano un altro aspetto dell’enorme divario generazionale che potrebbe avere ricadute politiche. Secondo i dati Pew di febbraio, chi ha sotto i 30 anni è più incline a simpatizzare con i palestinesi rispetto agli americani più anziani, che tendono a sostenere Israele. E ciò non promette bene per Biden.

Il gap tra le generazioni e le diverse ‘ideologie economiche’, con i giovani inclini ad essere più anti-capitalisti come mai lo erano stati negli ultimi anni, rappresenta quindi un gran cambiamento, pur in un’economia sempre dominata da potentissime corporation Big Tech, Big Pharma e bancarie con bilanci pari a quelli di molti Stati delle Nazioni Unite. Con simili presupposti, che aumenti la polarizzazione politica è facile previsione. Ma con quali esiti? L’America va verso uno scenario come quello descritto dal film Civil War di Alex Garland (con Trump-Reich presidente, quale grado di probabilità gli assegnate?) oppure va verso lo scenario di una società dinamica che offre opportunità per riforme positive e innovazioni sociali (non rinunciando all’ambizione egemonica di dominare il mondo, quale grado di probabilità gli assegnate?).

Il bello (o il dramma) è che dal futuro degli Stati Uniti dipenderà il futuro di noi vassalli, in Italia. Da Roma, è improbabile che riusciremo a controbilanciare queste forze in continuo attrito tra il Potere (con la P maiuscola) di Washington e la complessa e variegata società civile americana, navigando attraverso un periodo di trasformazione sociale ed economica, senza guerre e senza inchini.

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