Nuovo fronte di scontro nella maggioranza: dopo il Superbonus, ora l’oggetto del contendere è la lotta all’evasione, su cui già a gennaio non erano mancate le tensioni. Martedì mattina Forza Italia e Lega hanno scoperto l’uscita in Gazzetta ufficiale di un decreto firmato dal vice ministro all’Economia Maurizio Leo che riattiva il redditometro, lo strumento di accertamento basato sull’analisi della distanza tra la dichiarazione dei redditi e le spese sostenute dal contribuente in un dato anno. Il centrodestra l’ha sempre visto come fumo negli occhi: nel 2013 Giorgia Meloni definiva “inaccettabile che lo Stato metta in piedi degli strumenti vessatori che invadono prepotentemente la sfera privata dei comuni cittadini, sindacare le abitudini, le spese quotidiane”. E solo due anni fa parlava di “un vero e proprio strumento di persecuzione fiscale“. Mentre Matteo Salvini dieci anni fa lo definiva ”roba da regime comunista o fascista” anche se cinque anni dopo, al governo con il Movimento 5 Stelle, si è accontentato di vederlo sospendere per i controlli sui periodi d’imposta successivi al 2015. Ora il provvedimento di Leo lo risveglia dal sonno senza soluzione di continuità: la nuova “determinazione sintetica del reddito” sarà applicabile agli anni d’imposta a decorrere dal 2016.

Dai forzisti arriva subito lo stop. Gli azzurri ricordano di essere “sempre stati contro” e il capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri nega l’evidenza: “Rimettono il redditometro? Non credo proprio“. Perplesso il Carroccio: “La trovo un po’ strana come proposta, perché noi del centrodestra siamo stati sempre stati critici su questi strumenti”, fa sapere il capogruppo in Senato Massimiliano Romeo. Fonti anonime aggiungono che “controllare la spesa degli italiani, in modalità Grande fratello, non è sicuramente il metodo migliore per combattere l’evasione”. Da Fratelli d’Italia Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera, getta acqua sul fuoco assicurando che “non è sicuramente la svolta epocale della politica fiscale di questo governo, né cambia l’atteggiamento verso la riforma fiscale e verso il fisco in generale”. Poi arriva l’interpretazione autentica di Leo: “Il centrodestra è sempre stato contrario al meccanismo del ‘redditometro’ introdotto nel 2015 dal Governo Renzi”, conferma. Ma “il decreto ministeriale pubblicato in questi giorni in Gazzetta mette finalmente dei limiti al potere discrezionale dell’Amministrazione finanziaria di attuare l’accertamento sintetico, potere previsto dall’ordinamento tributario fin dal 1973″. Nel dettaglio, spiega il viceministro, la nuova misura “corregge una stortura che si è creata nel 2018, quando il governo Conte 1 ha abolito il D.M. 16 settembre 2015, il cosiddetto “redditometro”, del governo Renzi e stabilito che si dovesse emanare un nuovo decreto con dei paletti precisi a garanzia del contribuente, in modo da limitare al minimo il contenuto induttivo dell’accertamento, e privilegiando sempre il dato puntuale a garanzia del contribuente. Purtroppo, quel decreto non è mai stato emanato e, invece di favorire il contribuente, si è creato un vuoto nei limiti all’azione dell’amministrazione finanziaria”. Ora il governo interviene, dopo interlocuzioni con le associazioni dei consumatori, l’Istat e il garante della privacy, fissando quei paletti e introducendo “anche un doppio contraddittorio obbligatorio”. Morale, “non c’è alcun ritorno al vecchio redditometro ma solo più garanzie per i contribuenti”. Al prossimo cdm Leo relazionerà sul decreto.

Avs: “Favorevoli”. Pd: “Destra prigioniera dei suoi slogan” – L’opposizione coglie l’occasione per evidenziare le contraddizioni del centrodestra: “Noi siamo favorevoli a tutte le misure che colpiscono gli evasori”, commenta Marco Grimaldi, vice capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera. “Il decreto del vice ministro Leo sta letteralmente facendo sollevare la destra, si tratta di una misura usata evidentemente al di là del suo fine per le guerre interne alla maggioranza. Vedremo che destino avrà”. Per Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, “è francamente surreale e comica la ridda di polemiche scatenate da Forza Italia e dalla Lega contro la reintroduzione del redditometro da parte del governo Meloni, di cui fino a prova contraria sono parte integrante. È l’ennesima contraddizione di una destra che da una parte è prigioniera dei suoi slogan demagogici ma dall’altra deve fare i conti con la dura realtà, fino ad andare nella direzione esattamente opposta ai proclami propagandistici di poco tempo fa”. Italia viva attacca su tutta la linea contestando la nota di Leo: “Il redditometro risale al 1992, è stato aggiornato nel 2010 (sempre con il centrodestra al governo) e l’unica cosa che ha fatto il governo Renzi nel 2015 è stata togliere dal redditometro del centrodestra del 2010 l’illiberale strumento delle medie Istat. Strumento che il decreto di Leo e del centrodestra di ieri rimette in pista, perché evidentemente a loro piace poter presumere il reddito di un contribuente non solo sulla base delle spese che sostiene effettivamente, ma anche sulla base delle spese che, su base statistica, si ritiene sarebbe logico che sostenga”.

A dirsi “favorevolissimo” al ripescaggio – ma altrettanto sorpreso per la decisione del governo di “tirarlo fuori in tempo elettorale” – è anche l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, che nella seconda metà degli anni ’90 promosse l’adozione di un nuovo redditometro al posto di quello embrionale accantonato nel 1993. In passato, ricorda, lo strumento “ha avuto una scarsa fortuna, i contribuenti facevano ricorso e i consulenti dicevano che era il fisco a dover dimostrare di aver ragione. Era insomma uno strumento molto mal visto, poco applicato e quindi poco efficace”. Ma ora “con le banche dati e l’intelligenza artificiale siamo in grado di arrivare molto vicino al reddito effettivo”.

Cosa prevede il decreto – Il decreto datato 7 maggio ma pubblicato in Gazzetta il 20 riattiva lo strumento di accertamento sospeso dal 2018. L’amministrazione finanziaria, per determinare la capacità contributiva presunta, potrà basarsi su diversi elementi. Per prima cosa un lungo elenco di spese risultanti da dati presenti nel Sistema informativo dell’Anagrafe tributaria “o comunque nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria”: si va dai consumi alimentari agli acquisti di abbigliamento e calzature, dalle uscite per mutui, affitti e utenze alle assicurazioni di auto, imbarcazioni e aerei. Fino alle spese per il tempo libero, i centri benessere e gli istituti di bellezza, le vacanze, gli animali domestici e pure quelle per il mantenimento di un eventuale cavallo. Le Entrate guarderanno anche agli investimenti mobiliari e immobiliari. Ma in più si terrà conto anche dei dati sull’ammontare della spesa minima per beni e servizi essenziali e delle ulteriori spese per beni di cui il contribuente è in possesso “nella misura determinata considerando una spesa minima presunta, ricavata dall’indagine annuale dell’Istat sulle spese delle famiglie o tramite analisi e studi socio-economici applicati al dato certo relativo al possesso o all’utilizzo di un bene o servizio”. Nel valutare se il contribuente abbia speso troppo rispetto al dichiarato si terrà conto anche del risparmio accumulato in corso d’anno.

Le garanzie per il contribuente – Chi sarà oggetto di controllo potrà portare a sua difesa l’esistenza di redditi esenti o comunque esclusi dalla formazione della base imponibile, provare che le spese sono state finanziate da altri o sostenute con solidi messi da parte negli anni precedenti o dimostrare che l’ammontare è stato diverso da quello presunto. Un’ulteriore tutela è rappresentata dal fatto che “in ogni caso l’ammontare delle spese risultante dalle informazioni presenti in anagrafe tributaria o acquisite in sede di contraddittorio con il contribuente si considera sempre prevalente rispetto a quello calcolato induttivamente sulla base degli elementi di capacità contributiva indicati nella tabella A o sulla base delle spese desunte da studi e analisi socio-economiche di settore”.

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