Una perizia balistica di parte sulle informazioni raccolte dalle analisi dei corpi e degli indumenti dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci dicono che non è stata una morte casuale, “sono stati vittime di un’esecuzione“. Salvatore Attanasio, padre del diplomatico italiano ucciso nei pressi del villaggio di Kibumba, nel Nord-Kivu, in Repubblica Democratica del Congo, parla in audizione di fronte alla commissione Diritti Umani del Senato dopo che il 13 febbraio il tribunale di Roma ha riconosciuto l’immunità ai due dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam), Rocco Leone e Mansour Rwagaza, che erano imputati con l’accusa di omicidio colposo e omesse cautele per la morte dei due italiani e dell’autista Mustapha Milambo. Quella di giovedì è stata una “procedura informativa” nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti umani in Italia e nella realtà internazionale che la commissione straordinaria sta portando avanti. E con Attanasio era presente il legale Rocco Curcio.

La presidente della Commissione, la senatrice Stefania Pucciarelli, ha annunciato che nelle prossime settimane sarà ascoltato anche Dario Iacovacci, fratello del carabiniere di scorta. Da questa prima audizione sono emersi comunque diversi punti rilevanti portati all’attenzione proprio da Attanasio che ha iniziato il suo intervento sottolineando le molte contraddizioni e lacune presenti nella versione ufficiale dei fatti. In particolare, ha reso noto che la perizia balistica di parte, condotta da alcuni dei massimi esperti italiani, è giunta a conclusioni inequivocabili: non si è trattato di un incidente, di un errore. È documentato che i colpi sono stati sparati dal basso verso l’alto, da una distanza di pochi metri e tutti dalla stessa direzione. Tre pallottole hanno colpito Attanasio e uno di questi colpi ha attraversato l’ambasciatore e trafitto anche Iacovacci, ragion per cui il proiettile è rimasto nel corpo del carabiniere ed è stato dunque possibile recuperarlo. Ciò dimostrerebbe che si è trattato di un omicidio premeditato e non di un incidente.

Il secondo punto su cui ha insistito il padre dell’ambasciatore è la contestata questione dell’immunità: “La Procura Roma ha avviato un’indagine sui due funzionari del Pam, chiedendone il rinvio a giudizio, ma dopo otto udienze preliminari si è arrivati al non luogo a procedere ‘per difetto di giurisdizione’, riconoscendo di fatto l’immunità chiesta dalle Nazioni Unite”. E ha poi aggiunto: “La giudice, questa è una mia opinione, può essere stata influenzata in questa decisione dalla posizione espressa dalla Farnesina. I due funzionari del ministero degli Esteri convocati in udienza hanno infatti definito l’immunità una prassi consuetudinaria da riconoscere e ciò ha probabilmente indotto il giudice ad avallarla. Siamo in attesa che venga depositata la motivazione, poi vedremo come procedere”.

Attanasio ha inoltre richiamato l’evidente contraddizione nel comportamento dello Stato italiano, che nel processo svoltosi a Kinshasa contro i presunti esecutori materiali dell’agguato si è costituito parte civile, mentre si è sempre rifiutato di fare lo stesso nel procedimento italiano, una posizione “inspiegabile”, accolta dalla famiglia “con estremo rammarico”. Si è appreso dalla sua voce che, davanti al perdurante rifiuto della costituzione di parte civile, tramite gli avvocati della famiglia era stata chiesta almeno la presenza alle udienza dell’avvocatura dello Stato, pur senza la costituzione di parte civile. Ma nemmeno questo è stato concesso. “Abbiamo chiesto spiegazioni che non ci sono mai state date – ha aggiunto – Immaginiamo che la decisione sia stata presa per non alterare equilibri o perché si temevano ritorsioni. Ma uno Stato non può chinare il capo, deve farsi rispettare, serve avere il coraggio di dire no. Questo è mancato. Siamo un Paese democratico e dunque vorremmo una spiegazione. Potremo poi magari dissentire, ma almeno vorremmo sapere le motivazioni di questa assenza”.

Ultimo tema toccato, quello dell’immunità: “Ha senso chiederla in un caso di triplice omicidio? Anzi, vi si doveva rinunciare! Come si può dire ‘vogliamo la verità’ e poi non si fa il processo perché c’è l’immunità? Abbiamo sollecitato tutte le nostre istituzioni, ci era stato promesso che la nostra diplomazia si sarebbe attivata in sede di Nazioni Unite, invece abbiamo scoperto durante un’udienza, dalla voce degli avvocati della difesa, che in tre anni nessuna azione è stata intrapresa presso l’Onu, nonostante le promesse”.

Da ultimo, l’avvocato Curcio ha prima aggiunto precisazioni nel merito della vicenda e in particolare della perizia balistica, nonché richiamato l’importanza delle recenti dichiarazioni del vulcanologo Dario Tedesco al Domani che la sera prima dell’agguato aveva raccolto da un Attanasio insolitamente furente la confidenza di aver scoperto la distrazione di fondi umanitari. Ma ha soprattutto voluto richiamare con forza la necessità di sottrarre questa vicenda alla cronaca per darle piena dignità politica. E ha concluso contestando il riconoscimento dell’immunità funzionale, sostenendo che in questo caso contrasta con i diritti fondamentali della persona e oltretutto creerebbe un precedente ancor più pericoloso per i tanti funzionari e diplomatici italiani in servizio all’estero. “Noi abbiamo sempre creduto nelle istituzioni – ha concluso Salvatore Attanasio – però il comportamento dello Stato in questa vicenda ci fa traballare. Non si può liquidare la faccenda con ‘interessi superiori‘, nulla è superiore all’onore di un Paese. Chiedere giustizia per l’ambasciatore e il carabiniere vuol dire rendere onore al nostro Paese, come loro hanno fatto”.

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