Una delle testimonianze più toccanti che ci ha regalato Liliana Segre ha a che fare con le scuse che suo padre le rivolse per averla messa al mondo in un periodo tanto tragico e funesto quale è stato quello sotto il nazifascismo, specialmente per le persone di origine ebraica. Non saprei immaginare un fallimento maggiore dell’umanità, quando chi ha donato la vita a un figlio si trova a doversi scusare per l’insostenibilità di quella vita stessa.
Ecco perché mi provoca disagio e angoscia scrivere che oggi, mutatis mutandis, ci troviamo in una situazione molto simile.

Sì, sebbene in assenza di un fascismo che pur viene macchiettisticamente denunciato da una pseudo-sinistra incapace di tutelare i diritti dei più deboli e la giustizia sociale di fronte all’unico regime odierno che quei diritti e quella giustizia li sta polverizzando (il regime tecno-finanziario), oggigiorno l’umanità ha di che scusarsi con le giovanissime generazioni. Non perché li avrebbe messi al mondo in un contesto di pericolosi signori in camicia nera e braccio teso, ma perché li ha consegnati mani, piedi, cuori e menti a un sistema tecno-finanziario in cui all’uomo viene riconosciuto valore soltanto nella misura in cui produce profitto finanziario o contribuisce al progresso tecnologico.

Un sistema che ha ridotto i nostri giovani a guisa di automi connessi, dipendenti dagli smartphone e dai meccanismi stupidi, uniformanti e alienanti che li caratterizzano (dai social network ai selfie, dalla tirannia dei like alla misurazione del valore di una persona in base ai follower e, in generale a una logica esclusivamente quantitativa).

Lo stesso sistema che impone come figure leader dei cosiddetti “influencer” che acquisiscono fama (e denari) in virtù di un egocentrismo ostentato, come anche di un moralismo politicamente corretto assolutamente di facciata, a cui il più delle volte corrispondono comportamenti nella vita reale che rivelano l’esatto opposto, fino all’opportunismo più spietato (a spese di ingenui follower) e alla delinquenza vera e propria.

Sì, perché al gap tra il finto moralismo del mondo virtuale e il cinismo selvaggio in quello reale, corrisponde una società in cui i nostri ragazzi – appena riescono a staccare gli occhi e la mente dall’ipnosi digitale – si devono scontrare con le tante mafie (politiche, culturali, economiche) che mortificano il merito e privilegiano figli di famiglie ricche o soggetti genuflessi al potente di turno, amanti e lacchè, opportunisti pronti a costruire le proprie carriere su un politicamente corretto di facciata a cui, il più delle volte, corrisponde un eticamente scorretto che trionfa senza limiti all’interno di un sistema dell’immagine fondato su una spesso immotivata egolatria.

Senza contare la mediocrità dilagante che, peraltro in perfetta coerenza col sistema appena descritto, ormai caratterizza ogni aspetto di una società nei cui gangli vitali assumono posizioni di potere individui impreparati, cialtroni e corrotti.

Influencer e nullità che vengono trattati come guru dagli stessi media, persone invitate nelle trasmissioni più note in virtù della visibilità acquisita in Rete, altre che trovano spazio nelle case editrici più famose perché vittime di un rapimento, di una violenza o di un crimine efferato a danno di qualche parente stretto (al netto di competenze autoriali non pervenute).
In un contesto del genere i nostri giovani vivono il presente con ansia costante e il futuro come una minaccia invece che un’opportunità.

I danni a livello cognitivo, emotivo e relazionale, prodotti soprattutto su giovani e giovanissimi da una società ripiegata sul virtuale e sulle sue dinamiche alienanti, sono stati nel tempo denunciati da neurologi e psicologi del calibro di Manfred Spitzer, Jean Twenge e, oggi, Jonathan Haidt, lo psicologo americano che, a proposito di un’intera generazione abbandonata ai meccanismi malati del mondo digitale, ha parlato del “più grande e incontrollato esperimento che l’umanità abbia mai fatto sui propri bambini” (The Anxious Generation How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness, Penguin, New York 2024, p. 44), ribadendo poi che i giovani oggi screscono in un ambiente ostile allo sviluppo umano in un articolo recente sulla rivista The Atlantic.

Affermazioni apparentemente forti, certo, ma che fanno seguito a ormai molteplici studi in cui si documenta la crescita incredibile fra i giovani nel mondo di ansia, depressione, senso di inadeguatezza, solitudine, suicidi (solo negli Stati Uniti aumentati del 130% negli ultimi dieci anni).

Ecco perché oggigiorno dovrebbero tremare i polsi a chiunque si appresti a mettere al mondo un figlio. O perché ci sarebbe di che chiedere scusa alla Generazione Z per averla messa al mondo in un contesto in cui si paventa il ritorno di un fantomatico nazifascismo e non si fa nulla di fronte al vero regime omicida del nostro tempo. Perché sì, il problema dei giovani oggi non è un presunto mondo al contrario, bensì un mondo che fa schifo e da cui troppi sentono il bisogno di evadere. Anche con gesti estremi. Nell’indifferenza di una politica prona, ignava e spesso correa rispetto al grande business digitale.

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