I negazionisti della crisi climatica, specialmente tra quanti vivono nel Nord Italia, nell’ultimo mese e mezzo hanno ripreso vigore: “Avete visto quanta neve? Si scia fino a maggio, altro che caldo record e siccità”. E se è vero che in quota, sulle Alpi, c’è ancora grande accumulo nivale (da esempio, guardate le strade del Passo dello Stelvio, dove sarebbe dovuta transitare la Corsa rosa), le cose, naturalmente, non sono così semplici. Senza considerare che il marzo e l’aprile appena trascorsi sono stati il decimo e l’undicesimo mese di fila più caldi di sempre, certificando un’impennata – imprevista, con questa intensità, persino dagli scienziati – del surriscaldamento globale, se guardiamo “in casa nostra” scopriamo che l’Italia è stata caratterizzata non da un inverno, bensì da due distinti inverni, con ripercussioni opposte – da valutare nei prossimi mesi – tanto sui nostri ecosistemi quanto sul nostro modello economico e sociale. Il Nord, come riportato dalla Fondazione Cima (Centro internazionale in monitoraggio ambientale), presenta una risorsa idrica nivale così significativa rispetto agli anni precedenti da portare l’indice nazionale dello Snow Water Equivalent al +42% rispetto al periodo 2011-2022. Al contrario, dal Centro al Sud della nostra penisola, si susseguono, con gradi diversi, gli allarmi legati alla siccità. La neve caduta sulle montagne è stata così scarsa, infatti, che i principali corsi d’acqua monitorati da Cima segnano, rispettivamente: Tevere, -12%; Aterno-Pescara, -66%; Sangro, -44%; Crati, -100%.

MEDITERRANEO HOTSPOT DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI – A inizio inverno la situazione era molto delicata anche sulle Alpi e del tutto simile a quella degli ultimi due anni. Poi, da fine febbraio, il cambiamento, con abbondanti nevicate che si sono protratte anche “fuori stagione”. Per questo “è importante valutare la stagione nel suo complesso e non per le singole precipitazioni” commenta Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione Cima. “Ricordiamo anche che, quando si parla di neve, i protagonisti principali sono sempre gli stessi: le precipitazioni e le temperature. Sulle Alpi, le ultime settimane sono state fresche e umide. La situazione, però, si mantiene radicalmente diversa sugli Appennini“. Al di là dei numeri, è sufficiente guardare i fatti più semplici: la stagione dello sci, in queste aree, non è mai partita, tanto che – come negli anni scorsi – le Regioni sono già pronte a erogare contributi a fondo perduto sotto forma di indennizzi per i comprensori sciistici.

“Se allarghiamo lo sguardo all’Europa, nell’inverno appena trascorso abbiamo avuto maggiori precipitazioni nell’area continentale ma precipitazioni parecchio sotto la media nella parte peninsulare” spiega a ilFattoQuotidiano.it Susanna Corti, dirigente di Ricerca presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). “Sono due aspetti estremizzati. È un’anomalia o l’impronta del cambiamento climatico? Ciò che possiamo dire è che l’estremizzazione dei fenomeni, sia per quanto riguarda la siccità, oppure le ondate di calore o di gelo, è esattamente quello che ci si aspetta dall’innalzamento globale della temperatura“. Non solo: “Ciò che preoccupa è che nel Mediterraneo la pioggia è attesa, per la maggior parte, nel periodo invernale, periodo fondamentale per garantire una regolare portata dei fiumi, l’acqua nei bacini, l’approvvigionamento per l’agricoltura e così via. Da qui a dire che il prossimo anno sarà uguale è difficile stabilirlo, ma questo è il trend, e bisogna mettere in campo politiche di mitigazione e di adattamento. L’Italia? Non sta facendo abbastanza, specie per quanto riguarda le fonti rinnovabili che derivano dall’eolico e dal solare”.

EVENTI ESTREMI E NEVE SOLO IN ALTA QUOTA – E il freddo sperimentato tra fine aprile e inizio maggio e che ha portato la neve al Nord? In questo caso non serve a nulla negare la crisi climatica, dal momento che il fenomeno è spiegabile con le correnti a getto, che spirano a circa otto chilometri sopra la superficie terrestre. Quando i gradienti di temperatura che generano queste correnti si indeboliscono – proprio per via dei cambiamenti climatici – è più probabile che masse di aria fredda scendano verso sud (e quelle d’aria calda salgano a nord). Per estendere il discorso (anche oltre l’orticello di casa nostra): il Club alpino austriaco ha appena dichiarato che tutti i ghiacciai austriaci scompariranno tra 40-45 anni. C’è di più: nella seconda metà di aprile lo zero termico, sulle Alpi, si è spinto oltre i 4mila metri di altitudine e, più in generale, le anomali termiche nel Nord Italia hanno registrato un +3,5° Celsius rispetto agli ultimi dieci anni.

“Cosa dire alle persone che negano la crisi climatica? La prima è che i cambiamenti avvengono su più anni. Il clima, per definizione, va considerato su scale di 20-30 anni. Non è come il cambiamento del tempo, che è istantaneo – dice ancora Corti – Ciò che è certo è rispetto all’epoca pre-industriale la temperatura media è aumentata, globalmente, di 1,1° Celsius, in Europa, che corre a una velocità quasi doppia, di quasi 2° Celsius. Il riscaldamento va ancora più veloce in alta quota, intorno al doppio: quello dello scioglimento dei ghiacciai è un grave problema. I ghiacciai alpini, nel 2023, hanno perso il 10% della propria superficie rispetto all’anno precedente. Quest’anno guadagneranno un po’ di superficie? Può essere, ma non cambia nulla: è il trend che va considerato”. E per quanto riguarda il periodo a cavallo tra la fine del nostro inverno e l’inizio della primavera, “sono cambiamenti di tempo repentini, cioè eventi estremi, tipici della crisi climatica. Dal punto di vista meteorologico, è come vivere sulle montagne russe. Questo perché, detta in parole semplici, c’è una quantità maggiore d’acqua sotto forma di vapore in atmosfera, non piove per tanto tempo e poi piove in una volta sola. Non è facile per il singolo individuo capire le dinamiche dei cambiamenti climatici. Va detto che gli organi di informazione dovrebber fare il possibile per portare una comunicazione di qualità”.

Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: “Continua a osservarsi un forte deficit di neve alle quote inferiori ai 1800 metri d’altitudine, sia sulle Alpi sia sugli Appennini – dice Avanzi – La neve è riuscita a essere abbondante solo sulle Alpi e solo al di sopra dei 2000 metri, dove lo zero termico stagionale non è stato ancora superato in maniera significativa. In altre parole, al di sotto di determinate quote le temperature sono state troppo elevate e, anche a fronte di precipitazioni abbondanti, hanno portato a una fusione precoce della neve. Al di la di ciò, “è importante che le temperature non salgano troppo e troppo in fretta, perché per essere utile la neve deve fondere fino alla tarda primavera”.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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