Si indebolisce, per il secondo anno di fila, la pressione degli azionisti delle grandi multinazionali americane a favore di risoluzioni assembleari in difesa di ambiente e diritti, i cosiddetti parametri Esg (environmental, social, governance). I dati riportati dal quotidiano inglese Financial Times mostrano che il sostegno a queste proposte è stato in media di circa il 20%, ben al di sotto dei livelli del 2021. Quest’anno, solo due risoluzioni degli azionisti legate al clima hanno ricevuto il sostegno della maggioranza tra le società statunitensi incluse nell’indice Russell 3000. Entrambe le proposte hanno spinto le aziende a pubblicare maggiori informazioni sui loro sforzi per ridurre le emissioni di gas serra.

Il calo del sostegno a questo tipo di risoluzioni assembleari segnala un’ inversione di tendenza da parte di colossi della gestione patrimoniale (e titolari di quote azionarie significative in gran parte delle maggiori multinazionali, ndr) come BlackRock e Vanguard. Mentre i grandi fondi pensione di California e New York, così come il fondo petrolifero norvegese, “stanno essenzialmente facendo la stessa cosa che hanno sempre fatto, BlackRock e Vanguard stanno effettuando una marcia indietro, tornando a essere passivi”, segnala un analista interpellato dal quotidiano londinese.

Vanguard ha anche osteggiato una campagna di azionisti Esg all’interno del colosso petrolifero Exxon. Indignati dalla decisione della compagnia di citare in giudizio due azionisti per una petizione sui cambiamenti climatici, diversi fondi pensione hanno votato contro i membri del consiglio di amministrazione. Viceversa Vanguard li ha difesi, consentendone la riconferma. In un altro esempio i sindacati hanno cercato di far entrare tre rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione di Starbucks. Ma l’iniziativa è fallita dopo che l’advisor Shareholder Services ha raccomandato ai soci di non accettare questa soluzione.

Che la galassia Esg stia attraversando una fase di risacca è confermato da svariati indicatori. A fine 2023, per la prima volta, i disinvestimenti dai fondi ispirati a criteri di rispetto dell’ambiente e dei diritti sociali, hanno registrato un deflusso netto di capitali. I fondi Esg che chiudono superano quelli che nascono. Molti investitori sono rimasti spiazzati dal boom di azioni di aziende in teoria agli antipodi come i grandi gruppi dei combustibili fossili o le industrie di armi, entrambi favoriti dal conflitto in Ucraina. I sottoscrittori si sono chiesti perché dovessero essere tagliati fuori da questa corsa dei titoli.

Nel frattempo, inesorabilmente, tutti gli impegni climatici assunti a livello internazionali vengono “bucati”. Le emissioni continuano a crescere, così come il consumo di petrolio e persino carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. Un recente studio dell’Energy Institute ha evidenziato come il consumo di petrolio abbia superato per la prima volta i 100 milioni di barili mentre nel 2023 le emissioni di Co2 sono aumentate del 2,1%. Pare sempre più difficile che, senza interventi più radicali, questa tendenza venga invertita dalle sole dinamiche di mercato. Con grandi compagnie petrolifere, chimiche, siderurgichee o cementifere che continuano ad operare in base a logiche di massimizzazione dei profitti è difficile che qualcosa cambi, quanto meno nei tempi che sarebbero necessari.

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