di Valerio Pocar

Qualche settimana fa il Papa regnante si è recato ai sedicenti Stati generali della natalità e ha tenuto un breve discorso nel quale ha accumulato alcune affermazioni per lui consuete: che la natalità soffre di egoismo e di materialismo, che mentre si riempiono di oggetti e non mancano gli animali di compagnia le case sono orbate dei figli, che l’età media della popolazione italiana (47 anni) è un dato negativo, che occorre valorizzare il ruolo dei nonni (dopotutto, hanno assicurato due generazioni! nda), che, per evitare il cosiddetto “inverno demografico”, occorre aiutare le giovani coppie ed evitare che la potenziali madri siano costrette alle scelta tra la procreazione e la cura della prole e la necessità o l’opportunità del lavoro (ovvio, ma bene, nda).

Nel corso delle sue esortazioni se n’è uscito con una battuta – dettata, vogliamo sperare, dall’enfasi retorica del momento – e ha equiparato gli anticoncezionali alle armi da guerra, che avrebbero entrambi la funzione di troncare la vita. Sapevamo da un pezzo che al romano Pontefice gli anticoncezionali sono indigesti, ma paragonare le armi degli stermini in Ucraina o nella striscia di Gaza, per citare soltanto i casi a noi più prossimi, e quelle che troncano in giro per il mondo decine di migliaia e migliaia di vite attuali, alle “armi” che impediscono a creature mai nate e neppure concepite di venire al mondo sembra davvero un’affermazione semplicemente priva di senso.

L’ideologia evidentemente acceca anche coloro che, per regola e per prassi, dovrebbero essere ispirati dallo Spirito Santo. Al romano Pontefice chiediamo, sommessamente, che abbia la bontà di rassicurarci che, tra le numerose partecipazioni azionarie della Santa Sede, non ve ne sia alcuna in lucrose aziende farmaceutiche che producono e commercializzano siffatti strumenti mortiferi, che sarebbero vere e proprie armi di distruzione di massa, dato il largo uso che ne viene fatto.

Del resto, è nota l’avversione dei romani pontefici rispetto all’uso del preservativo, l’anticoncezionale meno sofisticato autorevolmente sconsigliato dal suo illustre predecessore, persino nei luoghi, come i Paesi africani, più diffusamente afflitti da malattie sessualmente trasmesse, anzitutto l’Aids. Un vero flagello in Africa, dove nel 2000 si stimava che la malattia fosse la prima causa di morte: sicché si ritiene che tre quarti degli oltre venti milioni di morti che l’Aids ha provocato nel mondo sarebbero stati appunto africani. Pur di favorire la natalità – la quale davvero a fronte dell’esplosione demografica, causa non ultima dei problemi sociali ed economici di quel continente, non ha alcun bisogno di essere incentivata – non si esita a suggerire la diffusione endemica della malattia, la quale sì, con fondamento, potrebbe essere equiparata alle armi delle quali in molti di quei Paesi si fa un uso non indifferente.

Del resto, ancora, non molto tempo addietro la Curia romana, in un documento ufficiale dal titolo Dignità infinita – documento che non può essere rimasto ignoto al Pontefice, il quale si suppone l’abbia approvato o quanto meno ne abbia autorizzato la diffusione – viene ribadita la posizione tradizionale della Chiesa sugli argomenti in qualche modo connessi con la sessualità e la procreazione, senza tener conto in alcun modo del mutamento dei tempi e della società umana, in ossequio a una visione distorta della realtà, quasi che gli esseri umani debbano essere presi in considerazione solamente se vivono in conformità coi dettami del magistero. Nel documento si affrontano questioni come le teorie gender, l’interruzione volontaria della gravidanza, la gestazione per altri, condannate senza appello, con accenti vagamente apocalittici che lasciano intendere che la corruzione dei costumi porterebbe il mondo alla rovina. Del resto, non sono mancati ecclesiastici che hanno voluto vedere nella pandemia la punizione divina per la corruttela morale dell’umanità.

La riaffermazione perentoria della posizione tradizionale rammenta il detto “un colpo alla botte e un colpo al cerchio”. Per esempio, se da una parte si dichiara “chi son io per giudicare” gli omosessuali, ma dall’altra, contemporaneamente, si afferma che verso di loro occorre usare misericordia si lascia intendere che l’omosessualità resta un grave disordine morale. Se si afferma, per giunta, che le teorie gender – parola che chissà che vuol dire esattamente, a parte l’abuso che ne fa la propaganda clericale di coloro che scagliano il sasso della Chiesa e non ritirano la loro mano – sono pericolosissime, s’intende che la prima parte è la caramella propagandistica per il pubblico di bocca buona e che ciò che davvero si vuol sostenere sta nella seconda parte, come del resto è la pratica comune di ogni cerchiobottista.

L’opinione autentica è trapelata, recentissimamente, dall’uso, in tema di omosessualità del clero, di un linguaggio da osteria o anzi da caserma, che a qualche generale non dispiacerebbe, deplorando che nei seminari c’è già troppa “frociaggine”, un neologismo significativo. […]

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