La quieta navigazione fiscale del governo Meloni è stata turbata per un giorno dalla piccola tempesta del redditometro, che il viceministro Leo voleva reintrodurre. A parità di nome, aveva poco a che fare con lo strumento precedente. Prontamente è intervenuto il capitano, la premier Meloni, che ha stoppato subito il suo super esperto finanziario e viceministro con delega al fisco. Conclusione: questa modesta misura di contrasto all’evasione fiscale probabilmente non si farà, anche se era prevista nella delega fiscale che il governo ha approvato.

Questo episodio illustra tutte le contraddizioni, ma soprattutto la povertà morale di questo governo che non vuole riportare il Paese su di un binario di normalità, anche tributaria.

La levata di scudi contro la proposta del viceministro Leo mi ha fatto venire in mente la trama di una nota serie televisiva, Breaking Bad. Il protagonista Walter White, insegnante di chimica alle superiori geniale ma sfortunato, è colpito da un tumore polmonare. La sua assicurazione sanitaria, a proposito della superiorità della sanità privata, non paga le cure perché troppo costose e per far fronte alle spese diventa un bravissimo fabbricante di metamfetamine. I soldi cominciano ad arrivare copiosi e lui vorrebbe spenderli. La moglie Skyler, attenta ragioniera, lo avverte che un eccesso di spesa potrebbe insospettire l’agenzia delle entrate, la temibile IRS, e potrebbero finire in galera per evasione fiscale. Per riciclare il denaro, fingendo una vincita al gioco, acquistano un autolavaggio.

Insomma Skyler White aveva paura del redditometro americano, uno strumento che serve proprio a questo, a segnalare la discrepanza tra il tenore di vita e i redditi percepiti, facendo emergere eventuali redditi percepiti illegalmente o sottratti. Nel caso di Breaking Bad, redditi che derivano dalla produzione di droga sintetica. Il redditometro prevede che se la forbice tra spese e reddito è molto alta, caso che si verifica per alcune categorie di contribuenti, scatti un segnale di allarme, una luce rossa che può portare ad una verifica fiscale. Quindi nulla di particolarmente intrusivo per i contribuenti normali, a differenza di quanto sostiene il pasdaran fiscale leghista, Matteo Salvini.

Anche il redditometro ha una sua storia italiana. La sua creazione non è stato proprio un successo, visto che l’evasione, invece che diminuire, è aumentata. È stato introdotto ancora nel 1993 nella forma di un accertamento sintetico. Si trattava di uno strumento molto rudimentale che misurava in maniera grossolana alcune spese. Il redditometro, nella sua forma attuale, è stato approvato dal governo Berlusconi nel 2010, Meloni allora era ministra, e ha cominciato ad operare due anni dopo. Rivisto dal governo Renzi nel 2015 è stato poi sospeso, non abrogato, dal governo Conte per la necessaria manutenzione.

Ora il viceministro Leo voleva riproporlo in una forma più consona al nostro tempo dominato dall’intelligenza artificiale. Introdotto con decreto ministeriale, è in piena armonia con la legge delega fiscale del governo Meloni che finora aveva percorso una strada diversa. L’evasione fiscale infatti si combatte o all’inizio, quando si forma come reddito non dichiarato, o alla fine, quando emerge come spesa. Finora la delega fiscale aveva solo spianato la strada ai contribuenti infedeli con i numerosi condoni e con la rivisitazione delle sanzioni fiscali a favore degli evasori.

Ora il viceministro voleva completare la delega agendo sul versante delle spese, stavolta in senso restrittivo, ma qui è stato stoppato clamorosamente dalla presidente del Consiglio, che evidentemente quando la delega è stata approvata era distratta.

Qui mi interessa mettere in evidenza la difesa che ha fatto il viceministro del suo intervento. Il viceministro Leo ha evidenziato due argomenti incontestabili: uno di sostanza e uno di principio. Secondo il viceministro l’evasione fiscale esiste, è enorme (100 miliardi) e va contrastata. Sembra un punto scontato ma non lo è, dal momento che Meloni stessa incautamente ha dichiarato che le tasse sono un pizzo di Stato. L’evasione è una piaga economica, prima che sociale, che va sradicata secondo il viceministro Leo.

Il secondo punto è ancora più interessante. Il viceministro ha dichiarato che con il redditometro si difendono i cittadini onesti. In effetti, se un contribuente vive secondo i suoi mezzi economici, non fa alcuna differenza che vi sia questo strumento oppure no. Ma da questa assunzione di principio, se la logica non è fallace, ne discende un’altra. Tutti coloro che attaccano il redditometro si mettono, per ovvia conseguenza, dalla parte dei cittadini disonesti. E in questa folla dei difensori della libertà, libertà di evadere il fisco, troviamo quasi tutti. Troviamo Meloni, Conte, Salvini, persino le forze progressiste.

Invece di essere scandalizzati dall’ammontare dell’evasione, i più sono scandalizzati dal suo modesto tentativo di colpirla, anche perché il decreto di Leo è molto circostanziato e prevede ampie garanzie per il contribuente. Potremmo chiamarlo redditometro 2.0, frutto di un lavoro certosino di analisi delle situazioni del contribuente.

Nessun grande fratello fiscale, ma nemmeno sorella, cugino o qualche altro parente impiccione. Chi dice questo è ignorante delle questioni fiscali nostrane, oppure in perfetta malafede e ha altri scopi. Personalmente propendo per questa seconda ipotesi.

L’episodio però è di più ampia portata e mostra la mediocrità morale della classe politica attuale. Il redditometro 2.0 non dovrebbe avere colori politici. È uno strumento di equità fiscale e come tale va considerato. Come ha affermato candidamente il viceministro: come possiamo colpire, ad esempio, gli evasori del bonus edilizio del 110, parecchi miliardi di euro, se non siamo in grado di monitorare le loro spese?

La discriminante qui non è tra sinistra o destra, come vuole far credere un ceto politico orami screditato, ma più profonda, e cioè tra onesta e disonestà. Stavolta mi trovo senza alcun imbarazzo dalla parte del viceministro Leo che ci ha fatto ritrovare, per una volta, il piacere dell’onestà. Anche il viceministro però, così malamente e ingiustamente strapazzato dalla premier, dovrebbe trarne le conseguenze, altrimenti diventa complice e passa dalla parte opposta, per sua stessa ammissione.

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