L’Europa League è dell’Atalanta, che vince 3 a 0 contro il Bayer Leverkusen a Dublino giocando una finale meravigliosa. La favola dell’Atalanta inizia dunque dove finisce quella del “Neverlosen”. Never perché non aveva mai perso il Bayer Leverkusen prima di stasera. La più importante? Forse non per Xabi Alonso e i suoi, che la loro storia l’hanno scritta vincendo la Bundesliga, di sicuro per l’Atalanta di Gasperini che una favola lo era già ma la storia doveva ancora scriverla. La scrive nella maniera più bella dominando una squadra che nessuno era riuscito a dominare, riportando un trofeo europeo in Italia dopo 14 anni, l’Europa League dopo 25 (il Parma nel 1999).

La scrive con autorevolezza, umiltà e bel gioco regalando non solo la gioia più bella ai propri tifosi, ma anche una storia da raccontare. Lo fa in una location forse perfetta per raccontare storie fantastiche, a Dublino, sotto il cielo d’Irlanda, e nella seconda fila dell’Europa che conta, che buttala via, ci arrivano due storie speculari. O quasi. Storie di chi è stato sempre a guardare. O quasi. Bergamo è a 60 chilometri da Milano, Leverkusen 70 da Dortmund, da bacheche piene e vittorie più facili, che una Coppa Italia del 63 diventata quasi una maledizione e la Coppa Uefa del 1988 pure, se per il resto sei il “Neverkusen”.

Storie, che cambiano se dalla vocazione alla salvezza l’ Atalanta passa ad essere un modello societario e sportivo che compra o produce in casa talenti, li vende campioni, ricomincia e intanto le suona a chiunque in Italia e alla prima partecipazione alla Champions quasi fa fuori dai quarti pure il Psg, il modello opposto. E cambiano al Leverkusen che con Xabi Alonso, qualche giovanotto e qualche elemento esperto finito ai margini altrove ottiene più dell’80 per cento di vittorie in stagione, vincendo la prima Bundesliga staccando il Bayern che spende 150 milioni per due calciatori.

Due squadre che giocano con ritmi forsennati, quasi a dire che in provincia serve correre e non specchiarsi, e “studiare l’avversario” lusso inutile: aggredire, dall’inizio, ogni pallone. E infatti i primi minuti sono già ad altissima intensità: attacca di più l’Atalanta, ma il Leverkusen è lì a tentare la riconquista e la ripartenza veloce su quegli esterni, Frimpong e Grimaldo che tanto male hanno fatto alla Roma.

Ma dall’esterno nasce il gol dell’Atalanta: Koopmeiners vede uno spazio impossibile e ci infila un pallone per Zappacosta che trova il fondo e mette basso in area, si avventa Lookman che trova il vantaggio. Incontenibile il nigeriano nei primi minuti: al 26esimo si prende il pallone sulla trequarti, fa un tunnel a un avversario e trova il raddoppio con un destro meraviglioso sul secondo palo.
Atalanta meravigliosa e Leverkusen in bambola nella prima mezz’ora: i nerazzurri sembrano giocare in quindici (cioè undici più quattro Ederson, mostruoso) per l’intensità con cui raddoppiano, triplicano per impedire la manovra avversaria.

Poi cambiano vestito gli uomini di Gasperini, controllando gli avversari abbassando il ritmo e andando in contropiede: in un caso diventando pericolosissimi con De Ketelaere. Xabi Alonso nel secondo tempo, e soprattutto visto che è sotto di due a zero, riconsidera l’idea che pare essergli molto cara che il pallone si può giocare, sempre, senza attaccanti, e manda dentro Boniface per Stanisic, mentre Gasperini inserisce Scalvini per Kolasinac, perché quest’ultimo è infortunato.

L’Atalanta però continua alla perfezione a cambiarsi d’abito, lasciando nell’armadio (se c’è mai stato) quello di gala e alternando quello da battaglia quando tocca alzare il ritmo e pressare altissimo, e quello da guardia quando c’è da tenere a bada il Leverkusen e ripartire: fino al 70esimo “le Aspirine” non vanno oltre un tiro sbilenco di Frimpong. E infatti se i primi due gol arrivano col primo vestito, il terzo arriva con quello da contropiedista: Scamacca porta palla e scarica ancora per Lookman che punta Tapsoba e tira una sassata di sinistro nel sette, firmando la tripletta personale.

Minuti da controllare e poi la gloria. La gloria della provincia che riscatta anni di insuccessi riportando la vecchia Coppa Uefa in Italia, dicendo pure come si dovrebbe fare. Non cercando i fuoriclasse che tanto non vengono, o vengono vecchi e senza più nulla da dire né con la prosopopea, ma con giovani valorizzati, un modello di gioco affidato senza grossi assilli a un allenatore per otto anni. Già, l’allenatore: Gasperini, che vince un trofeo, il più importante, dopo che l’idea stessa di vincere con l’Atalanta sembrava essere diventato un miraggio, viste le finali di Coppa Italia perse. Gasperini che cambia gli uomini, dal Papu a Zapata, da Mancini a Hojlund, da Romero a Kessie a Kulusevski ma fa giocare sempre le squadre meravigliosamente, con qualunque interprete. Gasperini che regala a Bergamo un trionfo internazionale, che vince e che può rispettare la regola che se vinci vai via, perché si va via da vincitori. O magari no, perché questa è l’Atalanta, e con l’Atalanta, dalla mitologia al vincere l’Europa League sconfiggendo una squadra imbattuta, le regole valgono poco.

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