Perfino sulle carte che costituiscono la memoria storica e processuale della tragedia del Vajont (avvenuta il 9 ottobre 1963, causò 1917 morti) il governo riesce a litigare con se stesso, smentendo anche il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il sottosegretario Gianmarco Mazzi di Fratelli d’Italia risponde in Parlamento, a nome del ministro Giuliano Sangiuliano, a un’interrogazione della deputata dem Rachele Scarpa, che aveva invocato una specie di “riconoscimento etico per le popolazioni colpite”, lasciando la documentazione dei processi a Belluno. Niente da fare, i documenti, una volta che saranno digitalizzati, torneranno a L’Aquila, ha annunciato Mazzi, in base a una norma del 2004.

Poco importa se Mattarella, durante le celebrazioni del 60° anniversario, avesse detto: “Ritengo non soltanto opportuno, ma doveroso, che la documentazione del processo celebrato a suo tempo sulle responsabilità rimanga in questo territorio”. La decisione, determinata da una legge dello Stato sugli archivi, ripropone la stessa logica di espropriazione che aveva portato a celebrare i processi (dal 1968 in poi) il più lontano possibile dal Veneto, dalle urla nel silenzio della piana di Longarone livellata dall’acqua caduta dalla grande diga, perché non fosse turbasse la serenità del giudizio. Poi le sentenze si ridussero a pene inadeguate rispetto alle responsabilità di chi aveva costruito un bacino senza preoccuparsi della montagna che franava.

L’annuncio del sottosegretario si è limitato alle previsioni di legge, con qualche rimprovero alle tempistiche relative alla digitalizzazione dell’archivio, operazione da concludere prima di rimandare i documenti in Abruzzo. “Risulta non ancora terminato il lavoro di meta-datazione e importazione delle immagini digitali acquisite del fondo processuale, intervento necessario affinché, grazie al supporto tecnico prestato dall’Istituto centrale per gli archivi, sia possibile effettuare il caricamento degli oggetti digitali e delle relative descrizioni nell’ambito di uno dei portali della Direzione generale Archivi”. Visto “il lungo termine trascorso”, ha richiesto “puntuali notizie in merito allo stato di avanzamento” e ha sollecitato la conclusione del progetto, visto che solo al termine saranno possibili “eventuali atti convenzionali che individuino le migliori modalità di valorizzazione“.

Sono bastate quelle parole per far montare la polemica. Il governatore Luca Zaia: “La Regione Veneto si fa garante per la conservazione degli atti processuali e per un grande progetto di divulgazione. Ne parlerò direttamente con il ministro Sangiuliano. L’archivio deve restare qui, senz’altra possibilità: la memoria per essere viva ha bisogno anche di riferimenti materiali”. Il presidente della Provincia Roberto Padrin, nonché sindaco di Longarone: “Scriverò personalmente al Presidente della Repubblica, che so condividere con la comunità una richiesta legittima e sacrosanta”.

È stato così costretto ad intervenire Luca Ciriani, il ministro per i rapporti con il Parlamento, abbozzando una retromarcia. “Sono impegnato personalmente per fare in modo che l’archivio del Vajont resti a Belluno. Ho parlato con il ministro e stiamo lavorando per trovare la soluzione, anche normativa se dovesse servire, per garantire che un pezzo di memoria e di storia del nostro territorio non venga assolutamente spostato”. Ciriani, correggendo il sottosegretario Mazzi, ha aggiunto: “La digitalizzazione dell’archivio è una iniziativa certamente meritoria, ma per noi è altrettanto importante dare risposta alla richiesta dei sindaci e del Presidente della Repubblica. Lo dobbiamo a tutte le vittime, ai familiari e a due regioni che ancora soffrono per una tragedia che ha sconvolto il Paese”.

A stretto giro è arrivato il dietrofront di Mazzi: “In riferimento ad una comunicazione del ministero della Cultura, rivelatasi sfortunatamente incompleta, sulla destinazione finale dei documenti originali del processo del Vajont – si legge in una nota del ministero diramata ieri -, il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, dichiara, unitamente al ministro Luca Ciriani, che tale archivio rimarrà per sempre a Belluno, dove già si trova. A L’Aquila, che fu sede del processo, verranno consegnate le riproduzioni digitali”.

I documenti sono arrivati in Veneto nel 2010, dopo il terremoto che ha colpito L’Aquila. Una prima fase di scansione era stata completata nei primi tre anni. Ma la mole era enorme, considerando le foto-riproduzioni delle immagini contenute nei 256 faldoni, messe a disposizione dei ricercatori in archivio. Restavano tutte le fotografie, qualcosa come 160 mila dati, che richiedevano spazi e server adeguati. La questione è così diventata economica, per mancanza di fondi, con un rallentamento fino al 2020, quando la direzione generale Archivi del Ministero della Cultura si è presa carico del progetto.

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